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 2017  dicembre 12 Martedì calendario

Putin in tour per ridefinire gli assetti del Medio Oriente

Con Benjamin Netanyahu a Bruxelles a cercare – senza successo – di convincere gli europei ad appoggiare il riconoscimento americano di Gerusalemme capitale di Israele, Vladimir Putin è sceso invece in campo sul fronte opposto: Siria, Egitto e Turchia. Tre tappe in giornata, per raccogliere i frutti dell’impegno militare russo a fianco di Bashar Assad e, distribuendo doni tra il Cairo e Ankara, cementare la rete di alleanze con cui Mosca approfitta delle incertezze e delle tensioni seminate da Donald Trump marcando il ruolo ritrovato sulla scena mediorientale, proponendosi come il punto di riferimento che ha canali aperti con tutti. Netanyahu compreso: la vicinanza simultanea del Cremlino a Israele e al mondo arabo ora sarà più complicata da gestire, ma nello stesso tempo offre al presidente russo nuove opportunità di gestire questa crisi, di mostrarsi presente e impegnato mentre il capo della Casa Bianca apre nuovi fronti per poi mettersi a progettare il ritorno sulla Luna e il viaggio su Marte. 
Dal Cairo ieri Putin ha commentato pubblicamente per la prima volta la svolta di Trump sullo status di Gerusalemme, e si è unito alle critiche già espresse da tutti i leader mediorientali. «La Russia – ha detto – continua a sostenere le posizioni prese in precedenza su questo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Consideriamo controproducente ogni passo che anticipi l’esito del dialogo tra palestinesi e israeliani. Pensiamo che tali passi siano destabilizzanti, che non aiutino a risolvere la situazione ma che al contrario alimentino il conflitto». 
Poco prima, dalla base aerea russa di Hmeymim Putin aveva invece annunciato la fine del conflitto in Siria, ordinando l’avvio del ritiro. O meglio del ritorno a casa «di una parte significativa del contingente militare russo». Missione compiuta, ha detto il presidente ai suoi piloti, mettendo l’accento sulla sconfitta dello Stato islamico più che sulla vittoria del presidente siriano Bashar Assad sull’opposizione.
Un ritiro che arriva nel momento più opportuno per Putin, che nei giorni scorsi aveva confermato la propria candidatura alle elezioni di marzo, e che non equivale a un abbandono della scena. «Il compito di combattere i banditi armati qui in Siria – ha detto Putin sotto il sole di Latakia – è stato in gran parte risolto, e in modo spettacolare». Ma i terroristi sono avvisati, nel caso vogliano destabilizzare di nuovo la situazione. I russi, ha spiegato Putin, manterranno la base aerea permanente di Hmeymim e il porto di Tartous, sulla costa siriana del Mediterraneo: «E se i terroristi rialzeranno la testa, gli infliggeremo colpi come mai finora hanno visto». 
Putin ha iniziato a discutere l’avvio del processo di stabilizzazione in Siria subito dopo aver lasciato Hmeymim. Anche al Cairo il suo arrivo ha segnato la differenza con la crescente lontananza di Washington, che in agosto ha bloccato l’erogazione all’Egitto di 95,7 milioni di dollari in aiuti. Al contrario, al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi Putin ha portato un accordo del valore di diversi miliardi: dopo tre anni di trattative, Russia ed Egitto hanno finalizzato la costruzione di un impianto nucleare a Dabaa, a ovest del Cairo. L’agenzia atomica russa, Rosatom, costruirà i quattro reattori dal costo di 21 miliardi e sarà Mosca a provvedere al finanziamento del progetto con un prestito che coprirà l’85% del valore del contratto. Ma il riavvicinamento ad al-Sisi consentirà anche la ripresa dei voli passeggeri diretti tra Russia ed Egitto, ridando fiato al turismo egiziano dopo il blocco deciso da Mosca quando, nell’ottobre 2015, un aereo di turisti di ritorno da Sharm el-Sheikh esplose sul Sinai.
La giornata mediorientale di Putin è proseguita ad Ankara, a cementare il legame anche con la Turchia di Recep Tayyep Erdogan con cui in tre mesi Putin si è visto tre volte, parlando di energia e quindi del gasdotto Turkstream, di centrali nucleari e di armi, in particolare del sistema antimissile S-400 che Mosca intende vendere a Erdogan malgrado la grande irritazione dalla Nato, alleanza di cui la Turchia fa parte.