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 2017  dicembre 08 Venerdì calendario

L’Unesco incorona i pizzaioli. «A Napoli sono degli artisti»

«Fatte na pizza c’a pummarola ncoppa, vedrai che il mondo poi ti sorriderà» cantava Pino Daniele nel 1993. E ieri il mondo intero ha davvero sorriso al piatto più noto della cucina italiana: a Jeju, minuscola isola della Corea del Sud, l’Assemblea dell’Unesco, ha dichiarato patrimonio culturale dell’umanità l’arte del pizzaiolo napoletano. Attenzione, non la pizza ma proprio il farla a Napoli. Il documento approvato all’unanimità dall’organismo delle Nazioni Unite è chiaro: «Il know-how culinario legato alla produzione della pizza cioè gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere – è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale in cui il bancone e il forno fungono da palcoscenico durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti».
FESTA
In alcuni quartieri del capoluogo campano l’entusiasmo è stato quello dei tempi dello scudetto di Maradona e sin dall’alba i pizzaiuoli (che qui ci tengono alla U) hanno offerto pizza gratis ai passanti. E quasi con lo stesso agonismo di una competizione sportiva, sembrano aver atteso la notizia due ministri del governo Gentiloni. Il responsabile dell’Agricoltura, Maurizio Martina, in piena notte erano le 3 – per primo ha twittato la notizia, bruciando il collega dei Beni Culturali Dario Franceschini che mercoledì aveva organizzato una festa a Napoli. Ma la prevista proclamazione era slittata, pare, per accontentare anche Libano e Marocco, in gara tra le 35 nazioni candidate. In verità i Beni Culturali, ma col precedente ministro, inizialmente avevano puntato non sui pizzaiuoli napoletani ma sui riti della Perdonanza Celestiniana dell’Aquila. Sicuramente i sostenitori di Papa Celestino V non avrebbero stretto tra le mani un corno rosso scaramantico e scherzoso come hanno invece confessato di aver fatto nella notte coreana alcuni delegati guidati dall’ambasciatrice Unesco Vincenza Lomonaco.
È stata comunque una vittoria corale perché mai una candidatura aveva raccolto due milioni di firme. La petizione lanciata dall’ex ministro all’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio è stata sostenuta da tantissime associazioni Coldiretti e Cna in testa – con iniziative come il contest #pizzaunesco di Mysocialrecipe che ha coinvolto 320 pizzaiuoli in tutti i continenti. La pizza prodotto identitario di Napoli è del resto universale. Gli americani ne sono i maggiori consumatori con 13 chili a testa l’anno, seguiti da italiani (7,6) e spagnoli (4,3).
TRADIZIONE
Il settore in Italia dove si sfornano 5 milioni di pizze in circa 63 mila pizzerie – vale più di 10 miliardi di euro con almeno 150 mila addetti, secondo la Fipe. Il riconoscimento dell’Unesco premia proprio il mestiere del pizzaiuolo, ormai di grande immagine come quello degli chef. «Ad essere oggetto di valutazione è stata l’espressione culturale della comunità napoletana, il lavoro dei pizzaiuoli, la loro cultura, la loro tradizione, la loro identità», ha dichiarato a Jeju Pier Luigi Petrillo, che ha curato il dossier per conto del Mipaaf. «Un lavoro spiega Luciano Pignataro, giornalista del Mattino e storico della cucina napoletana – che è nel sangue di tutti quelli che lavorano vicino a un forno a legna: la lievitazione dell’impasto che tiene conto delle variabili legate alla temperatura e alla umidità, il gesto di stagliare i panetti, ammazzare, estenderlo con la tecnica dello schiaffo, l’atto di cuocere la pizza. Gesti che non si imparano in improvvisate università, ma che sono parte della tradizione di un popolo che è stato capace di fondere acqua, farina, olio, pomodoro e origano in qualcosa che non è la somma di questi prodotti, bensì in un cibo nuovo, unico, tipico e inconfondibile».