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 2017  dicembre 05 Martedì calendario

Quei genitori nel pallone che diseducano i figli allo stadio

La sciarpa di lana con i colori giusti e la doppia calza per non congelare. Gli scalini fatti a due a due per tenere il passo dei grandi. Gli estintori Meteor e il caffè Borghetti. Le speranze all’andata, al ritorno la festa o le recriminazioni. Le parolacce da non ripetere («Sennò non vieni più») e quel dribbling da riprovare a casa con la palla di spugna. 
Il bambino che entra in uno stadio per la prima volta, mano nella mano col papà, non può saperlo. Eppure con buona pace delle mamme sbuffanti il tifo calcistico è rimasto uno degli ultimi baluardi del rapporto padre-figlio, uno degli ultimi momenti di condivisione reale dentro un oceano di like su Facebook. Nell’era degli «sdraiati» di Michele Serra, ritratto dell’adolescente mimetizzato sul divano dove l’evoluzione della specie è la posizione orizzontale del letto con l’occhio fisso sul telefonino, lo stadio e la trasmissione della fede calcistica rappresenta un raro baluardo di umanità. Di più: oggi i tragitti casa-stadio e i 90 minuti della partita provocazione ma fino a un certo punto sono gli unici momenti dove padre e figlio si parlano. 
Davanti ai più piccoli, il padre ha il compito fondamentale dell’introduzione al rito del tifo. Ruolo ancor più importante oggi se pensiamo che un’ intera generazione di giovani italiani, bucato l’appuntamento col Mondiale 2018, per vent’anni non avrà visto la nazionale vincere una sola partita della Coppa più importante. Ai figli resteranno i ricordi dei padri. Tra le decine di storie raccontate dal giornalista Fulvio Paglialunga in Un giorno questo calcio sarà tuo. Storia di padri e figli, e di pallone (Baldini e Castoldi, pp 244, euro 13), vera sorpresa editoriale delle ultime settimane, c’è un’immagine indimenticabile: un padre e un figlio di Forlì, unici tifosi della squadra in trasferta a Lucca nel settore ospiti. Il papà, il bambino di 5 anni, una bandiera e due sciarpe. Nella tribuna riservata ai supporter del Forlì, quel 15 marzo 2015, non c’era nessun altro. Solo loro: unici spettatori dei due gol che la Lucchese infliggerà alla loro squadra del cuore. 
È dalle sconfitte, ovviamente, che si impara a crescere (e a vincere): vale anche per i due tifosi del Manchester City, padre e figlio, immortalati in due foto simbolo del legame padre-figlio allo stadio. Nella prima, 6 anni fa Wayne Rooney trafigge la squadra di casa con la maglia degli odiati nemici del Manchester United ed esulta sotto i tifosi di casa. Nella seconda, scattata a settembre di quest’anno, il Rooney sul viale del tramonto ha appena segnato nella stessa porta con la maglia dell’Everton. Dietro, seduti allo stesso posto, una decine di file dal campo, ci sono sempre loro. Padre e figlio, uno un po’ invecchiato, l’altro diventato adolescente. Uno accanto all’altro.
Non tutti i tifosi hanno avuto un padre appassionato, ma chi ha avuto un padre appassionato sicuramente diventerà un tifoso. Darwin Pastorin, nel suo Lettera a un giovane calciatore (Chiarelettere. pp144, euro 13) prova a raccontare ai più piccoli la magia del calcio con frammenti del calcio di una volta, senza cadere nella tentazione nostalgica del solito «ai nostri tempi era tutto più bello». Si parla di Gigi Meroni, Platini, Maradona. In realtà, l’autore parla giustamente della propria vita, come un papà degli anni Sessanta narrava la grande Inter al figlio nato a metà anni ’80: insieme alla filastrocca Sartiburgnichfacchetti, raccontava la sua storia e quella della famiglia. 
Certo i padri, nel calcio come nella vita, spesso possono rovinare i figli. «Di fianco al campo di allenamento ci vorrebbe un cinema per i genitori, così non rompono le scatole» diceva il basletta Giovanni Lodetti, ex campione del Milan). Quante risse inutili nel calcio dei ragazzi, quanti papà ossessionati dall’idea che il figlio possa diventare il nuovo Cristiano Ronaldo. L’esasperazione del lato oscuro porta alla celebre frase di Paolo Pulici, ex stella del Torino e impegnato nella coltivazione dei giovani talenti: «La squadra ideale è quella fatta di orfani». Fortunatamente una legge smentita da alcuni campioni: Paolo Maldini ha seguito e superato in quanto a vittorie le orme di papà Cesare. Il danese Kasper Schmeichel, che di secondo nome fa Peter come uno dei portieri più forti degli ultimi 40 anni, due anni fa è stato determinante nell’impronosticabile trionfo della Leicester nel campionato inglese. Altri figli di fenomeni hanno giocato una discreta carriera basti pensare a Jordi Cruyff altri ancora hanno avuto il privilegio di scendere in campo insieme al padre e segnare insieme a lui nella stessa partita (il brasiliano Rivaldo insieme al figlio ventenne Rivaldinho). Padri e figli uniti dal pallone o dal tifo. Molto più di un gioco, come insegna il primo dogma di Jose Mourinho: «Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio».