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 2017  dicembre 05 Martedì calendario

Le notti delle guardie mediche tra botte, minacce e vandalismi. «Al lavoro con marito e papà»

L’ultimo caso in provincia di Bari. Un paziente con problemi psichici è diventato stalker di una dottoressa della guardia medica che ha dovuto subire mesi di persecuzioni e minacce e, in un’occasione, anche atti sessuali (è stato poi arrestato il 14 novembre). È andata peggio a Serafina Strano, anche lei dottoressa della guardia medica, stuprata in un ambulatorio della provincia di Catania il 19 settembre scorso. «Alle istituzioni – disse lei subito dopo l’aggressione – dico: io sono stata violentata anche da voi».
E poi in Sardegna. A giugno un’infermiera è stata letteralmente sollevata e scaraventata contro un muro da un paziente in un centro di salute mentale, a Quartu. Il 20 ottobre, invece, in un presidio medico di Assemini (Cagliari) la dottoressa Ilaria Vannucci si è fratturata il braccio per deviare il computer che un utente le aveva tirato in testa perché non aveva prescritto all’istante il farmaco che lui voleva.
Fare il medico, soprattutto negli ambulatori di periferia, è diventato un mestiere pericoloso. Specie per le donne. Tentativi mancati o consumati di violenza sessuale, minacce (a volte con armi), rapine, botte, danneggiamenti alle auto personali, furti oppure insulti e urla davanti ai dinieghi di medicine e giorni di malattia.
L’emergenza«È inutile chiamarla in un altro modo: è un’emergenza» riassume Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici di Bari, teatro di uno degli ultimi episodi di violenza. La Puglia, in generale, conta da sola un quarto delle aggressioni che si verificano durante i turni di guardia medica sull’intero territorio nazionale. 
Un numero crescente di casi che la Federazione nazionale dei medici di Medicina Generale ha raccolto nel «Dossier violenza», sottotitolo: storie di ordinaria follia. Fra quelle storie l’omicidio della dottoressa Roberta Zedda, in provincia di Oristano nel 2003. 
Medici come soldati di una guerra mai dichiarata. «Raccogliamo racconti drammatici» conferma Roberta Chersevani, presidente dell’Ordine dei medici nazionale. «Come ho già detto provocatoriamente: dovremmo aprire le guardie mediche nelle caserme per avere la tutela necessaria. Chiedo a tutti di segnalare anche il più piccolo episodio. I medici non possono lavorare nella paura. Proveremo a investire del problema i ministeri dell’Interno e della Salute ma credo che tocchi alle aziende sanitarie garantire la qualità del servizio e io nella qualità ci metto anche la sicurezza. Altrimenti il rischio finale è chiudere questo tipo di ambulatori». 
«Questo tipo di ambulatori» sarebbero quelli della cosiddetta «continuità assistenziale», in pratica le guardie mediche. Ed è proprio da lì che arrivano i racconti in prima persona scritti dalle vittime e affidati al dossier nazionale e, nel caso della Puglia, a un libro bianco che si intitola «storie mai raccontate». 
I casi da Nord a SudQualche esempio fra i più recenti. Tentativo di violenza sessuale in un ambulatorio di Messina. La dottoressa: «Ero terrorizzata, non so spiegarmi come ho avuto la forza di resistere». Da Taranto la testimonianza di una sua collega: «Non ho mai svolto il turno da sola, mi sono sempre fatta accompagnare da qualcuno della mia famiglia vista l’aggressività dell’utenza». Un’altra da un comune vicino dice: «Sono sempre andata in ambulatorio accompagnata da mio padre». Ancora in Puglia, stavolta provincia di Bari: «Un giorno mi chiamò un pregiudicato e subito dopo la sua chiamata anche i carabinieri ai quali lui si era rivolto. Mi dissero: dottoressa è rischioso negare un intervento a certe persone». E poi: inseguita e speronata una dottoressa a Lucca, molestata un’altra nel Comasco, devastato un ambulatorio nel Torinese perché i genitori di una bimba ustionata volevano che il medico intervenisse invece di andare al pronto soccorso.
Ma la testimonianza più amara viene dalla giovane dottoressa Paola C. 31 anni, una breve esperienza in guardia medica a Lecce: «Ho lasciato questo lavoro perché non lo ritengo sicuro – scrive —. Non potevo continuare a farmi accompagnare da mio marito. Questa non è vita».