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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

L’ultima retromania, il tavolo da falegname

Lo si vede nei negozi di Milano come di Roma, e ora anche a Berlino. In vetrina insieme agli oggetti in vendita, ben posizionati sopra: prodotti ecologici e alimentari, poi libri, vini e anche cancelleria. È il vecchio tavolo da falegname, che conosce una seconda vita come espositore di merci di differente natura. Un banco grosso e lungo, per lo più in quercia, con quattro o sei gambe, su cui un tempo si lavorava il legno: tagliare, segare, incollare, piallare, levigare, forare, impiallacciare. I negozi di falegname si contavano a decine nelle vie delle città. Inoltre, il banco era usuale anche nelle case di molti, perché il capofamiglia lo utilizzava per la manutenzione della casa, per aggiustare o per produrre oggetti utili, prima che i tavoli di metallo, in vendita nei magazzini del fai-da-te, lo sostituissero. Solo così si spiega la presenza sul mercato di tanti tavoli da falegname in vendita. Sui siti si trovano tavoli di varie dimensioni e differenti costi: da quelli dell’Ottocento, venduti a 4-5mila euro o più recenti da 900 euro in su. Non passa poi settimana che sulle pagine delle riviste di arredamento non si vedano immagini di case signorili, ville o appartamenti di lusso, che espongono all’ingresso o in salotto un vecchio tavolo da falegname con le fotografie dei componenti della famiglia in bella mostra, oppure in cucina come desco, e persino in bagno nel caso dei tavoli più piccoli. In un sito d’arredamento vengono presentati come pezzi d’arredo che «hanno impresso nella materia la traccia del tempo che li ha attraversati», così da riuscire a «suggerire le storie di tutte le persone che, giorno dopo giorno, li hanno utilizzati». Una forma di storytelling visiva. Sono l’avanguardia di un revival estetico che sta già coinvolgendo vecchi armadietti metallici di ufficio o di fabbrica, cassettiere da tipografo, frigoriferi industriali. Non è un riciclo vintage, ma solo l’armata del modernariato che avanza, riusa e riposiziona ogni oggetto del passato modificandone il contesto, e ovviamente l’utilizzo. Sono il segno di un mutato rapporto con il lavoro, prima di tutto, lo stesso che trasforma in loft piccole officine inglobate in zone residenziali o le cantine in locali pubblici. Il lavoro manuale scompare e i suoi oggetti approdano nelle case come relitti da salvare e riciclare. La nostra estetica contemporanea ha un rapporto complesso con il tempo. Da un certo punto in poi, dagli anni Ottanta del XX secolo, ha cominciato a riposizionare gli oggetti del recente passato come arredi nelle case. Segno che la rottura con le generazioni precedenti si era compiuta. Nelle vetrine dei negozi che espongono i vecchi tavoli da falegname il messaggio è: puoi fidarti di me, ho un rapporto armonico con il passato. Oppure: Siamo artigianali, non industriali. Nelle case che li usano come consolle invece c’è il desiderio di appropriarsi di qualcosa che non si riconosce più. Valore d’uso tramutato in valore di scambio? Sì, ma simbolico.