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 2017  dicembre 04 Lunedì calendario

Rivoluzione per giovani

Chénier? Chi era costui? Un rivoluzionario, un poeta, rispondono i più preparati. Un musicista, un capopopolo, assicurano quelli che al libretto non hanno dato neanche una sbirciata. Pazienza. Alla fine sono tutti contenti i quasi duemila giovani sotto i 30 anni che ieri hanno accolto con nove minuti di applausi e ovazioni la «primina» della Scala, Riccardo Chailly sul podio dell’ Andrea Chénier di Umberto Giordano, che quando la compose aveva 29 anni. «Under 30» pure lui. Chissà se l’avrebbero fatto passare, con quei baffoni imponenti, quell’aria severa, le mascherine del Teatro. Rigorose nei controlli fino a chiedere i documenti ai più «sospetti». Come Gregorio, che in effetti con quei capelli impomatati e baffetti alla Poirot, sembra sforare la barriera anagrafica. «Invece ho 27 anni» assicura esibendo la carta d’identità: professione chef, passione la lirica. «Il melodramma – precisa —. Garanzia di grandi emozioni. L’opera contemporanea? Grazie no». 
Un falso giovane, viste le rotondità e la barba da samurai, si direbbe anche San, giapponese milanesizzato. Che invece ha solo 18 anni e fa l’ultima classe dello scientifico a Vimercate. La sua prima volta alla Scala? «Forse l’ottantesima – ride —, ci vengo ogni settimana, non mi perdo un titolo». Esordiente invece Giovanni, anni 12, stupefatto per la bellezza del teatro e del tutto ignaro di quello che andrà a vedere. «Mi pare si parli di rivoluzione» azzarda. Sulla Rivoluzione, francese e non solo, invece ha molto da dire Giulia, graziosa 20enne che studia Analisi per la conservazione dei Beni culturali. «La storia di Chénier è tristemente realistica. Il lieto fine non esiste nelle rivoluzioni».
Nell’intervallo si discute nel foyer. Piace molto la regia filologica di Mario Martone, la scena girevole come un carillon ideata da Margherita Palli in sintonia con il «continuum» musicale dell’opera che, come ha suggerito Chailly, non va spezzato dagli applausi dopo le singole arie. Fanno sognare i costumi di Ursula Patzak e pure i cantanti, Anna Netrebko naturalmente. E anche Yusif Eyvazov e Luca Salsi, ossia Chénier e Gérard. Le fanciulle si dividono tra il poeta e il rivoltoso, le più avvedute optano per entrambi: «Per l’uomo ideale ci vogliono tutti e due».
Colpiscono le teste mozze esibite fin dal primo atto, macabro presagio del bagno di sangue che verrà. Colpisce la ghigliottina iperrealistica già usata da Martone in teatro per La morte di Danton e al cinema per Noi credevamo. Qualcuno si interroga sulla presenza di statue, corpi immobili quasi come quelli imprigionati nella lava a Pompei. Chi ne sa di più spiega che è un omaggio di Martone a Giordano che, squattrinato all’epoca di Chènier, aveva preso alloggio nell’unico posto che si poteva permettere, un magazzino di addobbi funerari.
Tanti i commenti, tanti i selfie. Nessuno rinuncia, visto il luogo e i vestiti tirati fuori per l’occasione. L’opera chiama la moda. Mantelli neri svolazzanti, sensuali abiti di raso. Persino uno smoking di tartan scozzese, scacchi rossi e revers di velluto nero. Dove l’ha trovato? «L’ho fatto fare dal mio sarto – risponde Alberto, architetto, che per ogni primina si fa confezionare uno smoking “speciale” —. Questo sarà l’ultimo. Ho 30 anni, tempo scaduto». 
Soddisfatto Alexander Pereira. La platea così fitta e festosa fa il paio con l’altra di qualche giorno fa, riservata a universitari e conservatori: lo conforta su una Scala sempre più aperta a un nuovo pubblico. «Gli under 25 sono cresciuti del 20%» annuncia il sovrintendente, che fortemente ha voluto la nascita di una stagione per bambini. Piccolo giallo, la mancata esecuzione dell’ Inno di Mameli. Una consuetudine disattesa. Alcuni orchestrali avevano già gli spartiti sui leggii, quando è arrivata l’indicazione di non suonarlo. La falsa notizia che Pietro Grasso si sarebbe dimesso da presidente del Senato ha fatto avanzare l’ipotesi che la sua annunciata presenza a Sant’Ambrogio sarebbe non più istituzionale ma privata. Niente Inno quindi? «Io auspico di sì – risponde Pereira —. La Scala è la Scala, rendere omaggio all’Italia all’apertura di stagione mi sembra doveroso».