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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

Sette mesi per un capannone. Così la burocrazia ostacola i piani di crescita delle imprese

Per costruire un semplice capannone industriale in Italia occorrono in media 7 mesi e mezzo, per la precisione 227,5 giorni ovvero quasi il 25% in più della media europea che si ferma a quota 185. E (anche) questo dato, certifica la classifica Doing business 2018 della Banca Mondiale rielaborata da Cgia Mestre, contribuisce a tenere il nostro paese nelle retrovie (46° posto) della classifica dei paesi dove è più facile fare impresa. Nel settore costruzioni siamo 16esimi su 19 paesi dell’Eurozona: peggio di noi fanno solo Slovenia, Slovacchia e Cipro. Tutti gli altri sono molto più veloci, con la Finlandia che batte tutti con appena 65 giorni, la Germania a quota 126 e la Francia a 183. «Il problema – spiega Carlo Belloni, vicepresidente nazionale di Cna costruzioni – è che da noi anziché fare il possibile per agevolare i progetti e spingere per creare posti di lavoro, tutti gli enti preposti, soprattutto al Centrosud, sono più concentrati nel gestire la loro “posizione” e la loro autorità».
Troppe norme, tanto caos
La concessione edilizia, insomma, come strumento di potere nelle mani di sindaci, assessori e dirigenti comunali. Del resto «sono tantissime le norme che intervengono in questo settore sui cui poi hanno competenza più enti ed amministrazioni, norme il più delle volte non chiare, che lasciano spazi di interpretabilità. Per cui – prosegue Belloni – può anche accadere che organi diversi abbiano interpretazioni differenti della stessa questione. Ed è questo che alla fine crea gli ostacoli più grossi». Senza dimenticare poi il «lato oscuro della vicenda», segnala il vicepresidente di Cna costruzioni, «con ostacoli creati quasi ad arte che nascondono richieste illegali per essere superati».
Il permesso a costruire è infatti un’autorizzazione che deve essere rilasciata dal Comune in cui ricade l’opera ed è «vincolante, nel senso che fino a quando non la si ha in mano non si può iniziare alcuna attività», spiegano i consulenti della Sogeea di Roma. «La tempistica media in un Comune di media grandezza è nell’ordine dei 6 mesi, al netto ovviamente della presenza nell’area interessata di particolari vincoli che richiedono il parere di altri enti (soprintendenze, enti parco, ecc). In una grande città si può arrivare tranquillamente a superare i 12 mesi. A Roma ci possono volere fino 3 anni, anche perché le domande vanno evase dal dipartimento Urbanistica del Comune e non possono essere presentate nei singoli Municipi». A incidere sulle tempistiche può essere anche la necessità di realizzare opere di urbanizzazione (strade e fognature) per le quali occorre un permesso a parte.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio permanente pubblica amministrazione locale del Politecnico di Milano, che ha raccolto i dati di 46 Comuni capoluogo su 110 tra presentazione della domanda e rilascio della concessione nel 2016 occorrevano in media 95 giorni contro i 97 dell’anno prima: 76 al Nord, 137 al Centro e 82 al Sud. Città come Aosta, Asti, Imperia, Bolzano e Cosenza si fermano a quota 60, ma Torino arriva a 150, Siena a 256 e Lucca addirittura a 317 giorni.
Semplificazioni in ritardo
Una consultazione svolta nel 2014 dal ministero della Semplificazione ha accertato che le autorizzazioni edilizie sono in assoluto le procedure più complicate. Per questa ragione si è deciso di intervenire: i titoli edilizi, le varie Dia, Scia, Cil, Cila, ecc. sono stati così ridotti da 7 a 5, e poi a la scorsa primavera è stato finalmente varato il nuovo regolamento edilizio unico, stilando un nuovo glossario trasmesso a Regioni e Comuni. Ma come spiega Sandro Simoncini, docente di Urbanistica alla Sapienza di Roma e presidente di Sogeea, «nonostante i termini per adeguare le normative locali siano scaduti da oltre sei mesi ben 3 regioni italiane su 4 non sono ancora in regola. Solamente Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria e Puglia l’hanno fatto. Per il resto si muove ben poco, anche perché il governo non ha previsto né sanzioni né poteri sostitutivi».