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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

Dio creò la donna ( e lei mise il cappotto)

Bello e democratico. Il cappotto è da sempre schierato dalla parte delle donne, complice dell’emancipazione femminile. Lungo, ampio e accogliente, sta bene alle alte come alle piccole, esalta la ieraticità delle magre e valorizza le forme mediterranee.
Il cappotto è ancora un oggetto del desiderio. Come quello di Max Mara. Per realizzarlo, in fabbrica impiegano 169 minuti e 73 passaggi, cucendo i bottoni con un brevetto speciale. È in lana e cachemire, non ha un nome ma solo un numero di codice che le donne conoscono bene: 101801. Lo celebra una mostra, Coats, che fa tappa a Seul dopo Berlino, Tokyo, Pechino e Mosca. In Corea del Sud l’allestimento è in una versione rinnovata e spettacolare, con una cupola (disegnata dagli architetti Migliore e Servetto), montata all’interno del Dongdaemun Design Plaza firmato da Zaha Hadid e da cui si affacciano sette wunderkammer, una per ogni decennio, che raccontano la storia del marchio dagli anni 50 a oggi. E la star della mostra è proprio il 101801 creato dalla designer francese Anne-Marie Beretta, rigorosamente color cammello. «Un colore tipico del guardaroba maschile», ricorda Laura Lusuardi, coordinatrice moda di Max Mara, figura storica della maison, cresciuta a fianco di Achille Maramotti, l’imprenditore che ha fondato questo impero negli anni 50, a Reggio Emilia. Maramotti era un esperto di economia con un sogno: produrre abbigliamento di qualità ispirandosi alla couture di Dior e Balenciaga. Sua madre aveva una scuola di sartoria e lui, che andava spesso a Parigi, aveva capito che la nuova frontiera dell’abbigliamento era la produzione industriale, con boutique e campagne pubblicitarie. Nella mostra è stato ricreato il suo studio con i libri d’arte e l’immancabile sigaro. E da lì si parte alla scoperta di tutto il mondo Max Mara, con la possibilità di toccare i cappotti esposti, quasi cento, disegnati tra gli altri da Karl Lagerfeld, Castelbajac, Proenza Schouler e Giambattista Valli. Il percorso si conclude col racconto di sfilate, passerelle, backstage e immagini scattate da maestri come Steven Meisel, Paolo Roversi, Richard Avedon.
A conferma che il cappotto è un evergreen, per Seul è stata prodotta una edizione speciale disegnata da Ian Griffiths, direttore creativo di Max Mara. «La fodera interna – spiega – è dorata come le preziose ciotole yugi che si tramandano da una generazione all’altra». Proprio come il cappotto Max Mara passa di madre in figlia.