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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

Castellani, il pittore che suonava sulla tela

C’erano una volta due ragazzi che cercavano una strada dell’arte alternativa alle accademie, alla pittura addormentata, al felice neonato consumismo del boom. Per farlo a Milano fondarono un luogo dove dirlo e teorizzarlo, la rivista Azimuth. Uscì per soli due numeri: nel 1959 e nel 1960.
Il primo dei due ragazzo lo è rimasto per sempre: dopo una breve rivoluzione estetica fatta di merde d’artista e Achrome, Piero Manzoni scomparve nemmeno trentenne, nel 1963.
Il secondo, Enrico Castellani, se ne è andato ieri, a 87 anni. Se Manzoni esprimeva una verve neodadaista tendente allo scandalo geniale e allo shock, Castellani, nato in provincia di Rovigo nel 1930, è stato l’uomo che “suonava” le sue tele. Dava ritmo ai suoi monocromi, modificando la superficie dei quadri con chiodi inseriti nel retro per ottenere rilievi e depressioni, estroflessioni e introflessioni. La tela diventa con lui una partitura su cui comporre e scolpire lo spazio. È una rivoluzione silenziosa la sua: è anti-pop, ma funziona negli anni della Pop. Nel 1965 Castellani è l’unico italiano citato nel manifesto del Minimalismo americano di Donald Judd. Si spalancano le porte del MoMA, le partecipazioni alle Biennali e a mostre che sono ormai storia da Vitalità del negativo nell’arte italiana al Palaexpo di Roma (1980) a Identité italien al Centre Pompidou di Parigi (1981). E anche il mercato risponde. Con Castellani scompare uno dei pochi italiani in grado di registrare veri record nelle aste internazionali. La suaSuperficie Bianca nel 2014 da Sotheby’s è stata venduta per più di 6 milioni di dollari. Ma, anche qui, senza fare grande clamore.
«Il mio isolamento è una scelta.
Nella nostra società non mancano le informazioni e quindi non soffro», ha detto.Vincendo senza bluffare mai.