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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

Le mani di Putin sul Mediterraneo

BEIRUT Il Raìs egiziano, Abdel Fattah al Sisi, sembra deciso a concedere alla Russia l’uso delle basi e dello spazio aereo egiziani, permettendo in tal mondo a Putin di acquisire una presenza in Egitto e nel Mediterraneo che Mosca non ha mai avuto, neanche ai tempi della collaborazione tra l’Unione Sovietica e Gamal Abdel Nasser. Fu con l’avvento al potere del successore di Nasser, Anwar Sadat, che, nel 1973, i “consiglieri sovietici” furono costretti a fare le valige e al loro posto furono preferiti gli aiuti militari americani.
Da allora l’Egitto è rimasto sotto l’ombrello degli Stati Uniti e, secondo il New York Times, autore dello scoop sull’esistenza di un accordo preliminare che sancirebbe la nascita della nuova alleanza, non è ancora detto che non vi rimanga anche in futuro. Ma se l’intesa preliminare sarà confermata Vladimir Putin avrà messo a segno un colpo in grado di cambiare gli equilibri vigenti in questa parte del mondo.
Se si guarda ai pezzi già posizionati sulla scacchiera, si vede che quasi 26 anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia è riuscita a guadagnarsi una posizione di tutto rispetto nel Levante grazie al suo intervento in Siria, dove è presente sia con la base aerea di Khmeimin, presso Latakia, che sulla costa del Mediterraneo, con alcune unità della flotta navale ospitate nel porto Tartus, una ottantina di chilometri più a Sud. Se Mosca fosse in grado di ottenere la disponibilità delle basi aeree egiziane (quali?) sarebbe in condizione di dominare una larghissima fetta dello spazio aereo mediorientale.
Ma come e perché questo scenario fino a qualche anno fa impensabile è diventato improvvisamente verosimile? A causa, si dice, della strategia al ribasso, tendente ad un progressivo ritiro da buona parte del Medio Oriente degli Stati Uniti. A creare le condizioni della crisi latente nei rapporti tra l’Egitto e gli Stati Uniti è stato la strategia ondeggiante di Barak Obama davanti agli sviluppi della Primavera araba, culminata con la presa di distanze da Al Sisi, dopo il golpe che, nel luglio 2013, ha proiettato il Maresciallo egiziano al potere. In seguito a quel colpo di mano sanguinoso, Obama ha deciso di dimezzare gli aiuti militari all’Egitto. Da qui la scelta di cambiare alleato.
Fino a quel momento, a partire dal 1973, gli Stati Uniti avevano versato alle casse egiziane una media di un miliardo e 300 milioni di dollari l’anno, anche se buona parte di questi finanziamenti erano destinati a garantire la sicurezza delle basi e del personale americano.
Ora, alcuni esperti, citati dal Nyt pensano che la Russia non sia in grado di fornire alle forze armate egiziane quell’aiuto complessivo che gli Stati Uniti davano loro. In realtà, tutto dipende da quello che Al Sisi chiederà come contropartita e da quello che Putin sarà in grado di dare. E questo punto della vicenda è avvolto nella nebbia più totale.
Si dice che la Russia potrebbe acconsentire a una sorta di pagamento in natura, consistente nella realizzazione di una centrale nucleare per uso civile ( a proposito della quale esisterebbe un accordo di massima raggiunto negli anni scorsi), ovvero, secondo un’altra ipotesi, le autorità moscovite potrebbero decidere di riprendere i voli per Sharm el Sheik e gli altri resort sul Mar Rosso, sospesi dopo l’attentato del 31 Ottobre 2015 contro l’aereo dei turisti, che è costato la vita a 217 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio. Tutti russi.
Ovviamente si ignora come Putin impiegherebbe la libertà di manovra sui cieli egiziani. Si dice che potrebbe utilizzare le basi per rifornire i bombardieri diretti in Siria. Ma, vista la grande instabilità che domina nel Nord Africa le scelte non mancano.