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 2017  dicembre 02 Sabato calendario

Le condizioni di Mittal: se il Tar cambia le regole acquisto a rischio

«Più facile dialogare con Roma che con Bruxelles». Chi lo conosce bene e lo frequenta spesso, giura che Aditya Mittal – classe 1976, erede del patron Lakshmi e ceo di ArcelorMittal Europe – ripete che il dialogo con le istituzioni italiane centrali, ovvero il governo, lo abbia sorpreso positivamente. Non aveva, però, fatto i conti con le istituzioni locali. Chissà, adesso, cosa pensa di Bari, intesa come sede della Regione Puglia, e Taranto, Comune su cui si sviluppa l’acciaieria più grande d’Europa. Le uniche dichiarazioni ufficiali di ArcelorMittal – capofila della cordata Am Investco che si è aggiudicata Ilva, di cui fanno parte anche Marcegaglia e Intesa Sanpaolo – dopo la decisione del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda di sospendere il tavolo istituzionale a seguito del ricorso di Regione e Comune, sono affidate a un comunicato. In cui, oltre alla disponibilità «a procedere con il dialogo con le istituzioni locali», si esprime anche «preoccupazione» per l’impatto che l’impugnativa potrebbe avere «su Ilva, i suoi lavoratori, le comunità locali e gli altri stakeholder». Anche perché l’investimento di 2,4 miliardi previsto «migliorerà le performance industriali e ambientali dell’impianto di Taranto. È un vero e grande peccato che la nostra volontà e capacità di realizzare tali investimenti possano essere pregiudicate da questo ricorso». Parole che, in Puglia, pesano tanto. E non è un caso che ieri i sindacati abbiano presidiato il Consiglio regionale: tutti ricordano, in riva all’Adriatico, l’addio nel 2012 di British Gas dopo undici anni di attesa per autorizzazioni e permessi mai arrivati per la costruzione di un rigassificatore a Brindisi e i problemi attuali per il gasdotto Trans Adriatic Pipeline. 
E le parole del gruppo che fa capo alla famiglia indiana – «gli investitori internazionali debbono poter lavorare in contesti di certezza del diritto nei quali essi possano assumere e assolvere impegni e precise responsabilità» – sembrano quasi ricordare quel caso del 2012. Un eventuale passo indietro di ArcelorMittal significherebbe l’addio a investimenti pari a 2,4 miliardi di euro, 1,25 di tipo industriale (come il rifacimento dell’Altoforno 5) da qui al 2024 e 1,15 di tipo ambientale (fino al 2023). Tra questi, oltre ai 172 milioni previsti per i lavori di bonifica e rimozione dell’amianto, anche i 300 milioni necessari per la copertura dei parchi minerali, i cui lavori potrebbero partire fin da gennaio con l’anticipo dei fondi da parte della gestione commissariale (che poi saranno restituiti da Am Investco). Il condizionale è d’obbligo, nonostante l’annuncio arrivato proprio nei giorni scorsi dal governo attraverso le parole della viceministra Teresa Bellanova, perché il ricorso rende tutto più incerto: non è detto che per fine anno la questione possa essere risolta con la decisione del Tar, visto che proprio ieri Calenda ha ipotizzato un’attesa di circa un mese. 
Da quanto trapela dalle ovattate stanze della multinazionale dell’acciaio – 60 siti industriali in 18 Paesi e oltre 90 milioni di tonnellate di acciaio grezzo prodotte nel 2016 – sarà proprio la decisione del Tar l’eventuale punto di non ritorno. E non potrebbe essere altrimenti: in caso di vittoria del governatore pugliese Michele Emiliano al Tar, l’Ilva si avvierebbe allo spegnimento, come ha detto in maniera chiara Calenda.
E sebbene Emiliano contesti tale minaccia perché con «l’eventuale annullamento» del Dpcm da parte del Tar «ritornerebbe ad essere efficace il vecchio piano ambientale del 2014», è difficile ipotizzare che una multinazionale che pone come condizione fondamentale per un investimento complessivo di 4 miliardi la certezza del diritto, possa addentrarsi nei meandri della giustizia amministrativa italiana: Mittal junior correrebbe il rischio di dover cambiare idea sulla preferenza di Roma rispetto a Bruxelles.