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 2017  novembre 14 Martedì calendario

Morte a San Siro

L’Apocalisse è servita. L’Italia di Ventura si sbriciola al cospetto di una Svezia brutta e scorbutica, che la blocca sullo 0-0 e torna a giocare un Mondiale (non accadeva dal 2006). Gli Azzurri non vanno in Russia, voltando le spalle un Paese di cui i 72mila di San Siro sono portavoce che aveva bocciato il progetto avviato da Tavecchio già all’indomani dell’addio di Conte. Il popolo è stato profetico, pur sostenendo (intonando il celebre e inattuale «popopopo» di memoria berlinese e fischiando l’inno svedese) gli 11 in campo per tutti i 90 minuti. Milano non è più casa nostra (31 vittorie e 12 pari al Meazza, restiamo imbattuti ma questa macchia è incancellabile) e ricorda Belfast nel ’58, quando l’Irlanda del Nord ci estromise dal Mondiale di Svezia. Da allora, ci siamo sempre stati. 
Di quest’Italia, combattiva ma sfortunata ieri, e incapace di correggere il suicidio dell’andata, resterà la modestia delle premesse e l’incertezza dell’avvenire: non sappiamo chi ci condurrà dove, ma non saremo dove conterà esserci. E l’eredità della parentesi Ventura sarà un fardello per chi (Allegri, Mancini o Ancelotti) deciderà di raccoglierla. La partita illude, dà l’impressione che gli Azzurri ci siano. Loro approcciano alla gara col furore dell’andata, ma l’Italia non si fa scoraggiare: né dall’aggressività né da un rigore solare negato all’8’ dall’arbitro Lahoz, che quasi fa rimpiangere quello dell’andata (Cakir), quando Parolo viene steso in area. Cinque minuti più tardi ne viene negato uno alla Svezia per un tocco di mano di Darmian. Ma il Var non c’è e i topi ballano. 
Al 16’ Jorginho imbecca Immobile in profondità, ma il laziale non trova la porta: il regista del Napoli è presente, detta il gioco anche con gesti plateali, all’occorrenza picchia. Con Ciro non c’è Belotti ma Gabbiadini, una delle novità di Ventura (le altre: Florenzi per Verratti, Jorginho per De Rossi). La coppia non è irresistibile (prima di ieri, insieme: 3 partite in U-21, 1 gol a testa con assist dell’altro e sei staffette), l’ex Napoli è flemmatico e inadeguato all’impegno. Al 17’, il giustiziere dell’andata, Johansson, si infortuna da solo al ginocchio ed esce in barella. Sembra un segno del destino, ma non lo sarà. Passano 10’ e Candreva spara sopra la traversa. Alla mezz’ora Barzagli tocca di mano, sarebbe di nuovo rigore ma l’arbitro ammonisce Forsberg per proteste. La versione riunita della BBC è poco lucida: Chiellini è nervoso, Bonucci è acciaccato e avverte il fastidio della maschera e Barzagli (per la prima volta in stagione presente in 2 gare di fila dal 1’) commette troppi errori. La squadra pressa a perdifiato ma nel palleggio è manchevole. In chiusura di tempo, Granqvist salva a ridosso della linea di porta e strozza l’urlo in gola a Immobile, poi ci pensano Parolo e Florenzi a sfiorare il vantaggio. La porta è stregata e si va digiuni negli spogliatoi. 
Inizia la ripresa e Lustig rifila una ginocchiata in pieno stomaco a Darmian nell’area svedese. Altro rigore non dato, sono due per parte. E il copione è lo stesso: l’Italia cerca il gol, Florenzi lo sfiora in semi-rovesciata, e la Svezia fa catenaccio. Ventura butta in mischia Belotti ed El Shaarawy per Gabbiadini e Darmian. Cambiamo pelle, ma lo spirito è identico. Prendiamo persino una traversa. È tutto inutile: i brividi di eccitazione e di speranza lasciano spazio al dramma. «Dicono di noi, schiavi del pallone, tifosi esagerati e al bar tutti allenatori», cantava Bennato. Da ieri non sappiamo più chi siamo.