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 2017  novembre 14 Martedì calendario

Gli americani restano cauti: «Vogliamo garanzie sui principi e il sì alla Nato». Il rispetto dell’Alleanza atlantica lasciapassare M5S

Gli Stati Uniti guardano con interesse al Movimento 5 Stelle, anche perché – come ci ha detto l’ex assistente del presidente Trump Sebastian Gorka – «tocca agli italiani decidere chi li governa». Il punto irrinunciabile per costruire una buona relazione, però, è il rispetto dei valori della democrazia liberale occidentale, unito ad una scelta di campo nelle alleanze internazionali che non consenta di mettere Washington sullo stesso piano di Mosca.

Il fenomeno fondato da Beppe Grillo aveva attirato la curiosità degli americani fin dalla prima amministrazione Obama, come avevamo scritto citando i rapporti dell’allora ambasciatore David Thorne, interessato in particolare all’uso che il movimento faceva di internet. Un’attenzione per le nuove tecnologie considerata essenziale per lo sviluppo dell’Italia. Questa curiosità si era trasformata in preoccupazione nel 2016, quando le agenzie dell’intelligence americana avevano captato le attività della Russia per influenzare le presidenziali Usa. Washington aveva capito che si trattava di un’offensiva ad ampio raggio, finalizzata a destabilizzare le alleanze occidentali ovunque fosse possibile, dalla Gran Bretagna con la Brexit alle elezioni nei Balcani. Quindi nell’ottobre dell’anno scorso il dipartimento di Stato aveva inviato una missione a Roma, per informare i colleghi di Via Veneto dei rischi che correva anche il nostro Paese. All’epoca erano noti i rapporti di M5S con la Russia, che lo stesso Di Maio ammette con il nostro giornale, e ciò aveva alimentato il sospetto degli Usa che il Cremlino potesse puntare sui grillini per creare incertezza in Italia.
Nel maggio scorso il vice presidente della Camera era andato a Boston, dove ci aveva detto che «l’Italia deve essere alleata, non suddita degli Usa». Quindi si era dichiarato contrario ad investire i 14 miliardi di euro necessari a portare i contributi di Roma alla Nato al 2% del Pil, e favorevole al ritiro dall’Afghanistan, dove invece nel frattempo Washington ha aumentato le truppe, chiedendo a tutti gli alleati di restare. Sulla Siria aveva equiparato l’intervento di Putin a quello di Trump, aveva chiesto la fine delle sanzioni a Mosca per l’intervento in Ucraina, suggerito la mediazione di Alba per risolvere la crisi in Libia, e criticato l’uscita degli americani dall’accordo di Parigi sul clima. Nei mesi successivi una delegazione del dipartimento di Stato aveva incontrato Di Maio a Roma per approfondire la conoscenza diretta. Quindi è nata la missione a Washington, per chiarire le posizioni in vista delle elezioni. Sfumata la possibilità di vedere l’assistente segretario di Stato per l’Europa Wess Mitchell, perché in viaggio appunto nel Vecchio continente, Di Maio dovrebbe incontrare stamattina il suo vice Conrad Tribble. Anche l’appuntamento col senatore Rand Paul, repubblicano libertario considerato più attento a fenomeni come M5S, è finito in forse per l’aggressione personale subita qualche giorno fa, mentre invece sono confermati quelli con i deputati della Commissione Esteri Rooney ed Engel.
La vittoria di Trump può aver dato la sensazione di un’apertura verso i movimenti populisti, a partire dall’appoggio in campagna elettorale per la Brexit, ma una volta al governo la situazione è cambiata. Il consigliere populista Bannon non è più alla Casa Bianca, dove ora comandano i generali Kelly e McMaster. L’effetto si è già visto in Catalogna, dove Washington ha preso una posizione netta contro il referendum indipendentista, perché il nuovo presidente si è convinto che la destabilizzazione dell’Europa e della Nato, favorita da Mosca, non è nell’interesse degli Usa. L’approccio all’Italia potrebbe essere simile. Trump, ad esempio, ha insistito molto sul fatto che gli alleati rispettino l’impegno di investire il 2% del Pil nella difesa, e difficilmente potrebbe andare d’accordo con un governo che congeli i finanziamenti all’Alleanza Atlantica. Il suo ex consigliere Gorka ha indicato come elementi irrinunciabili per lavorare con un esecutivo grillino il rispetto «dei valori della civiltà occidentale, tipo democrazia rappresentativa, dignità individuale, libertà». Lui era il braccio destro di Bannon, e se questa è la linea della sua corrente populista, è lecito supporre che il gruppo realista dominante ora alla Casa Bianca sia ancora più determinato su tali posizioni. L’epoca in cui gli Usa pensavano di poter decidere i governi dei Paesi alleati è finita da tempo, ma queste restano le discriminanti irrinunciabili nel rapporto con tutti gli amici, su cui Washington si aspetta garanzie da Di Maio.