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 2017  ottobre 11 Mercoledì calendario

Sei personaggi per l’incompiuta

I tanti errori del premier che però non mollerà
Famoso per la sua cocciutaggine, il premier spagnolo lo è ora anche per l’inefficacia delle sue strategie. Come si fa a mandare 10 mila poliziotti a Barcellona per impedire il referendum del primo ottobre con il risultato che hanno votato oltre due milioni di indipendentisti e le durezze degli agenti, filmate e fotografate, hanno fatto il giro del mondo screditando il governo di Madrid? Maldestro, almeno. Eppure Rajoy doveva difendere la Costituzione, e a modo suo lo ha fatto. Di sicuro non mollerà, e dopo le emozioni della prima ora tutti i governi occidentali lo appoggiano. Non vorrebbero vedere manganelli, ma la disgregazione di uno Stato sarebbe peggio. E in riserva c’è l’articolo 155 della Costituzione, con l’abolizione dell’autonomia catalana. Olio sul fuoco.
Le ambiguità della sindaca e la sua vittoria precaria
Ragionevole, in festival di eccessi reciproci tra Madrid e Barcellona. La sindaca del capoluogo catalano, informalmente vicina al partito Podemos di Pablo Iglesias, ha tentato di far rinviare il referendum rifiutando di mettere a disposizione gli edifici comunali. Poi, visto che Puigdemont andava avanti, ha ceduto. Ieri si è detta contraria alla proclamazione formale dell’indipendenza (senza sospensione) osservando che in questo modo nessun dialogo sarebbe stato possibile con Madrid. Visto che la sospensione c’è stata, esce vincitrice. Ma è forse apparsa troppo ambigua, per poter aspirare alla successione di Puigdemont.
Il discorso fuori tempo di un sovrano indeciso

Ha detto la sua con almeno quarantott’ore di ritardo, e quando lo ha fatto ha scontentato tutti: gli indipendentisti catalani perché la sue critiche e il suo linguaggio erano identici a quelli del premier Rajoy, i conservatori unionisti perché, a loro dire, l’ex re Juan Carlos avrebbe gestito la crisi con ben diverso piglio. Rimproveri giustificati? Fino a un certo punto. Quando il re parla il suo discorso deve essere approvato dal premier, e Rajoy non è uomo da lasciare troppo spazio ad altri, nemmeno a Sua Maestà. Semmai, il re che non si decideva a intervenire avrebbe potuto continuare a scegliere il silenzio e resistere alle pressioni del governo. Conservando la sua credibilità per i momenti supremi.
Il funambolo della politica e la corda da (non) tirare
Ieri, nel suo atteso discorso davanti al Parlamento catalano, Puigdemont ha dimostrato di essere una cosa che non appariva certa: un fine politico. L’ex sindaco di Girona diventato la guida dell’indipendentismo ha chiarito che la Catalogna ha «diritto» all’indipendenza dopo l’esito del referendum. Ma per accogliere le preghiere del mondo, l’indipendenza suddetta viene «sospesa» (senza data di scadenza) allo scopo di facilitare il dialogo con Madrid. Cioè con una controparte che non vuole dialogare con i nemici della Costituzione. Come si può più garbatamente lanciare la palla nel campo altrui, pronti a denunciare il colpevole qualora il dialogo non ci sia o non funzioni dal momento che Madrid non accetterà di sicuro che l’indipendenza catalana sia ora un diritto? Bravo Carles, ma attento, perché anche questo è un modo di tirare la corda.
I molti tentennamenti di un leader ancora da fare
Povero, il segretario del partito socialista, il Psoe. Dovrebbe contare moltissimo, perché senza la sua astensione il governo Rajoy cade. Invece il partito è in crisi profonda, è tanto se prevale ancora di un soffio su Podemos, e il giovane Pedro, invece di mostrarsi risoluto, somiglia al signor tentenna. Il Psoe appoggerebbe il governo, se fosse invocato l’articolo 155 che priva la Catalogna dell’autonomia? Sì, anzi forse. Il Psoe accetta l’invito di Podemos a votare la sfiducia al governo Rajoy? No, ma parliamone. E l’indipendenza della Catalogna? Se ne può discutere, ma soltanto nel pieno rispetto della legge che i catalani invece stanno violando. E se il dialogo attecchisse ora che l’indipendenza è stata «sospesa»? Per Pedro Sánchez sarebbe l’ultimo treno per provare a diventare un leader, ma nessuno è disposto a scommetterci. 
L’Europa e l’unico ruolo concesso dai Trattati
Ieri ha fatto l’unica cosa che poteva fare: a nome dell’Europa, ha esortato Puigdemont a non proclamare formalmente l’indipendenza della Catalogna per dare tempo al dialogo con Madrid. Di più l’Europa non poteva fare, ed è stato errato accusarla di colpevole passività o peggio: in base ai Trattati ma anche alla scelta politica degli Stati che la compongono, la Ue non ha titolo per mediare all’interno di uno di questi Stati. E tuttavia l’appello di Tusk, che assieme ad altri ha funzionato, alza le aspettative nei confronti di Bruxelles. Se Madrid accetterà, ma soltanto in questo caso, l’Europa potrà forse ritagliarsi un ruolo. Offrendo non una mediazione, ma più cautamente l’opera di qualche «facilitatore» capace di salvare la faccia dei molti che rischiano di perderla.