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 2017  settembre 20 Mercoledì calendario

La crisi dei «big» dei giocattoli. Toys R Us chiede la bancarotta

Due anni fa era toccato a Fao Schwarz sulla Fifth Avenue, considerato il negozio di giocattoli più bello al mondo, paradiso di pupazzi, peluche e trenini, chiudere e dichiarare la fine dei giochi. Ora è l’intera catena che lo controllava, Toys R Us (con la R girata a sinistra come se un bambino dovesse sistemarla), ad avere iniziato la procedura per la protezione dalla bancarotta e non essere schiacciata da oltre 5 miliardi di debiti a lungo termine. È la crisi dei giocattoli, confermata anche dalla danese Lego che ha chiuso in negativo per la prima volta in tredici anni e ha annunciato 1.400 licenziamenti. Ma non è che il mondo non giochi più: lo fa in un’altra maniera, attaccato a uno smartphone da dove conquista villaggi digitali o, se proprio deve, compra con un clic le pistole Nerf.
La storia di Toys R Us, fondata nell’immediato dopoguerra a Washington da Charles Lazarus come negozio di stanzette per bambini e diventata la più grande catena di store dedicati ai giocattoli degli Stati Uniti, sembra un paradigma dei cicli di mercato. Nel momento di massimo splendore, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, la catena era stata accusata di «strangolare» i piccoli sbattendoli fuori dal mercato. Poi sono arrivati carnivori di stazza superiore: prima Walmart e poi Amazon. Milioni di bambini sono passati da qui, soprattutto prima di Natale quando i grandi negozi di giocattoli vendono il 40 per cento dei propri magazzini annuali. La giraffa Geoffrey, mascotte della catena, è stata un’amica fedele dei baby boomer. Non che non ci abbia provato a resistere agli strali del commercio elettronico: già nel 1999 la società aveva intuito di dover venire a patti con il nemico. Ma il nemico non ha mantenuto i patti: Toys R era diventato il fornitore unico di giocattoli di Amazon anche se Amazon aveva aperto la propria piattaforma ad altri distributori. Toys, per il gigante del commercio elettronico, non era sufficientemente forte per rispondere alle richieste di mercato. Ne era nata una battaglia legale nel 2006 risolta a favore di Toys R con Amazon che aveva dovuto versare 51 milioni a parziale risoluzione del danno calcolato in 90 milioni.
Toysrus.com è uno dei siti più visitati di giochi. Ma a nulla è servito, perché il problema dei distributori tradizionali non è la vendita ma i magazzini da riempire e i costi, laddove Amazon funziona come un market place. E poi c’è il peso dei 1.600 superstore che hanno funzionato fino a quando la continua crescita del mattone ha permesso di continuare ad aggiornare il valore degli asset immobiliari. Gioco pericoloso. Appunto. Ora i negozi Toys R continueranno a restare aperti per i bambini americani perché il Chapter 11 è molto simile alla nostra amministrazione straordinaria in stile Parmalat: alza un muro di protezione contro i creditori e lascia un po’ di ossigeno all’operatività (nel 2018 vengono a maturazione 400 milioni di debiti). Il vero termometro sarà il Natale, anche per Lego, considerato un caso di rinascita miracoloso oggetto di studio nelle business school: vicino al collasso finanziario solo all’inizio del 2000 la Lego ha inanellato un successo dopo l’altro tornando ad essere uno dei giochi più amati dai bambini e diventando il produttore di giochi con i margini più alti al mondo. Il mattoncino Lego è stato la linea Maginot a difesa dalla supremazia del gioco online. Fino all’estate. Anche se in questi anni l’occupazione nella società danese era triplicata non possono passare inosservati 1.400 tagli. Chissà se Babbo Natale potrà fare qualcosa.