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 2017  settembre 13 Mercoledì calendario

Gli eredi di Cuccia, da snodo del sistema alla gestione dei grandi patrimoni. La banca d’affari pesa meno di un terzo dei ricavi

«Piccolo o grande che sia, ogni desiderio merita di essere esaudito», si legge nel sito di Compass, la società del gruppo Mediobanca che si occupa di credito al consumo. Poco meno del 50% dei ricavi di Mediobanca (43% al 30 giugno scorso) arrivano da questa divisione, i finanziamenti per l’acquisto di una nuova auto, un viaggio o il matrimonio. In questo numero e in questo slogan c’è la distanza tra la Mediobanca attuale e quella del passato.
Le dinastie industriali
Quella che Giorgio La Malfa, nel suo «Cuccia e il segreto di Mediobanca» (Feltrinelli) sintetizza così: «Per quasi quarant’anni (...) era estremamente difficile, se non impossibile, fare operazioni che coinvolgessero le maggiori imprese italiane senza l’accordo e l’attiva collaborazione di Mediobanca». La fusione tra Montecatini e Edison, il salvataggio della Olivetti dopo la morte di Adriano, l’ingresso e poi l’uscita dei libici dal capitale della Fiat o la gestione del crac Ferruzzi sono solo alcuni degli episodi che hanno fatto di Mediobanca lo snodo fondamentale del capitalismo italiano, costruito la leggenda del suo fondatore, Enrico Cuccia («Il padrone dei padroni, fortunato titolo di una sua biografia di Giampaolo Galli) e al contempo la pessima fama sua e dell’istituto, «luogo di arroccamento del vecchio capitalismo, della difesa estrema delle dinastie tradizionali, dello scarso riguardo per gli interessi della vasta platea degli azionisti senza blasone», per dirla ancora con le parole di La Malfa. Una pessima fama alimentata, va detto, anche dalla riservatezza quasi ossessiva di Cuccia assunta a regola per tutti (la riservatezza è «obbligatoria per chi si sia occupato degli affari altrui», rispose ad un giornalista che chiedeva un’intervista).
Difficile dire quando è iniziato il cambio di pelle del gruppo. «Il mondo della vecchia Mediobanca, quello delle grandi dinastie industriali è scomparso da tempo», racconta un anziano banchiere. Di certo tutto è avvenuto tutto sotto la guida di Alberto Nagel, il manager che ha raccolto l’eredità di Cuccia e che con l’ultimo piano industriale ha impresso una nuova accelerazione al cambiamento.
La discesa in Generali
Il passaggio più significativo è la probabile cessione del 3% di Generali, con la discesa nell’azionariato del Leone (al netto delle tensioni con il socio Unicredit e il suo ad, Jean Pierre Mustier) e l’utilizzo di quelle risorse per crescere, anche con acquisizioni, nella divisione di gestione dei patrimoni. Ovvero, la terza gamba della Mediobanca del futuro accanto a Compass e alle attività di banca d’investimento.
Il blasone del passato
Proprio nelle attività di wealth management si è concentrato lo sviluppo più recente: il rafforzamento di CheBanca con l’acquisizoione degli sportelli di Barclays, l’acquisto quest’anno del 50% di Esperia (private banking) per salire al 100%, l’operazione del 2016 in Gran Bretagna per prendere Cairn, gestore di fondi speculativi hanno portato i volumi in gestione a 50/60 miliardi di euro.
La banca d’investimento, oltre al blasone del passato, assicura ancora il 29% dei ricavi e malgrado non sia più «cruciale» come una volta vede ancora la presenza degli uomini di piazzetta Cuccia in tutte le operazioni più importanti. Lo sviluppo all’estero, cercato per anni, inizia a dare qualche risultato.