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 2017  agosto 17 Giovedì calendario

Spose importate, spose sfortunate?

 
«La Società faroese può sopravvivere?». Era il 2013 quando Hermann Oskarsson sollevò la questione. Secondo i calcoli dell’ex capo consigliere economico delle Isole Faroe – estremo Nord, tra Islanda e Norvegia la tendenza delle giovani connazionali a studiare all’estero, per poi rimanerci, avrebbe provocato una progressiva riduzione degli abitanti dell’arcipelago subartico. All’appello mancano oggi duemila donne, su una popolazione di 50mila persone. Non poche.
Una soluzione, almeno parziale, sembra però esistere e proviene dall’Estremo Oriente.

Nelle faroe vivono circa trecento donne originarie delle filippine e della thailandia, che costituiscono la più grande minoranza etnica presente nelle isole. Sono le mogli di altrettanti uomini locali. Nella maggior parte dei casi, la conoscenza è avvenuta online – attraverso
i social network e i siti di incontri – oppure grazie all’intermediazione di altre coppie miste. Il governo delle Faroe si è attivato per facilitare l’integrazione delle nuove arrivate. Per cominciare, ha organizzato corsi di lingua gratuiti. «Abbiamo davvero bisogno di sangue fresco qui!», ha dichiarato alla Bbc un faroese sposato con una filippina. «Mi piace vedere così tanti bambini figli di genitori di nazionalità diverse. Il nostro patrimonio genetico è limitato. Accogliere donne straniere intenzionate a mettere su famiglia si è rivelato positivo».
IL RACCONTO DELL’ANCELLA Una scena del quarto episodio della serie tv The Handmaid’s Tale
Anche in Norvegia e in Corea del sud le nozze tra maschi locali e femmine straniere sono frequenti.
In Scandinavia arrivano principalmente thailandesi, russe e filippine, in Corea donne del Sud-Est asiatico. In entrambi i Paesi le spose forestiere incontrano però parecchie difficoltà: linguistiche, culturali e soprattutto legali. In Norvegia, se il matrimonio dura meno di
tre anni, la donna può essere rispedita a casa senza formalità. In Corea del Sud la permanenza della moglie è legata a uno speciale visto biennale (F-6 visa), rilasciato su richiesta del marito coreano. Come nelle Isole Faroe, la decisione di importare donne – l’espressione è sgradevole, ma di questo
si tratta – deriva quasi sempre da una difficoltà demografica. In alcuni Paesi, le vicende che hanno provocato il fenomeno sono drammatiche. In Cina l’aborto selettivo delle femmine conseguenza della politica del figlio unico, in vigore dal 1979 al 2013
ha prodotto un’eccedenza di 33 milioni di maschi.
Molti di loro cercano moglie all’estero, in particolare in Russia e in Ucraina, attratti dalla bellezza delle ragazze e facilitati dal legame storico tra la Repubblica Popolare Cinese e i Paesi ex-sovietici. Le agenzie
russe che organizzano appuntamenti per i single cinesi sono in aumento e prevedono persino lezioni di mandarino per le future mogli. «Il nostro Paese è in un momento economico difficile, molte donne desiderano andarsene», ha detto al tabloid cinese Global Times Victoria Kurzova, 26enne russa.
NON SEMPRE, TUTTAVIA, L’URGENZA DI FORMARSI UNA FAMIGLIA e il desiderio di assicurarsi una discendenza vengono risolti in modo pacifico. Alcuni scapoli cinesi abbandonano
ogni scrupolo e si rivolgono ai trafficanti di esseri umani. Tra le prede più ambite – come ha
raccontato la Cnn in un recente reportage le ragazzine prelevate dai villaggi vietnamiti di frontiera, costrette poi a sposare i loro compratori. Scrive la sociologa indiana Ravinder Kaur in un articolo accademico del 2013: «La penuria di mogli in Cina viene affrontata attraverso matrimoni transfrontalieri, di fatto matrimoni forzati. Non di rado si arriva a veri e propri sequestri, preceduti da inganni e lusinghe».
In alcune zone dell’India le cose non vanno meglio. Nello Stato di Haryana che conta 877 femmine ogni mille maschi (censimento 2011) – gli uomini locali sono disposti a pagare fino a centomila rupie (circa 1.300 euro) per importare donne da altre regioni dell’India, come Bengala occidentale, Jharkhand, Bihar o Madhya Pradesh. Un traffico che comporta spesso adescamenti e rapimenti.
«IL MERCATO MATRIMONIALE è un campo attraversato da molte dinamiche. È vero che spesso
le donne vengono sfruttate, anche sessualmente. Ma non tutto rientra nella logica della tratta», spiega Paola Persano, curatrice del libro Migrazioni al femminile e docente di Storia del pensiero politico contemporaneo dell’Università degli Studi di Macerata. «In molti casi è difficile stabilire dove finisce l’autonomia e inizia la coercizione. Spesso le donne migrano per uscire da posizioni svantaggiose.
La ricerca di un marito fuori dai confini può rappresentare un percorso di emancipazione».
Qualcosa del genere, in fondo, racconta
il film Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971). Ricordate la trama? Amedeo, interpretato da Alberto Sordi, è un brav’uomo espatriato agli antipodi che desidera sposare una connazionale. Fa pubblicare in Italia un annuncio, e
lo correda con la foto di un amico di bell’aspetto. Gli risponde Carmela (Claudia Cardinale), una splendida ragazza, che gli nasconde però di essere una prostituta. L’incontro in Australia fra i promessi sposi non è dei più tranquilli: Amedeo delude la donna per il proprio aspetto; ed è sconvolto quando scopre la professione di lei. Alla fine, comunque, i due si mettono insieme:
lui innamorato, lei rassegnata. «La scelta di Carmela corrisponde a una precisa strategia esistenziale, che vede il matrimonio come strumento per cambiare vita», commenta la professoressa Persano.
La ricerca di donne Per ScoPi MaTriMoniaLi e riproduttivi risale a tempi antichissimi. chi non ha mai sentito parlare del ratto delle Sabine? Si racconta che romolo, per popolare la nuova città di roma, rapì le giovani donne di una popolazione vicina.
Non tutti gli episodi sono avvolti nella leggenda; ma di certo la storia è piena di simili sopraffazioni. Nel XVII secolo i coloni della Nuova Francia, corrispondente pressappoco all’attuale Canada, avevano bisogno di donne per aumentare la popolazione. Il governatore Jean Talon ottenne l’invio di 800 giovani francesi. Vennero chiamate Filles du Roi ( Figlie
del Re) in omaggio a Luigi XIV, entusiasta dell’idea. Due secoli più tardi, nell’India britannica, i ricchi europei (soprannominati “nababbi”) prendevano in mogli le donne che la Compagnia delle Indie Orientali faceva arrivare per loro dal Vecchio Continente.
coSa ci riSerVa iL FUTUro? Porterà trasferimenti di massa, come quelli delle Filles du Roi verso l’America? Mostrerà migrazioni volontarie, come fu per le compagne dei ricchi europei in India? Somiglierà a una sorta di esperimento sociale, come accade nelle Isole Faroe? Oppure vedremo nuove prevaricazioni, simili a quelle di cui la storia abbonda?
Se l’arte è profetica, è il caso di preoccuparsi. The Handmaid’s Tale (Il racconto dell’ancella), nuova serie tv ispirata all’omonimo romanzo del 1985 di Margaret Atwood, descrive Gilead, società ultrareligiosa basata in un distopico New England. Le donne dipendono dagli uomini. Senza autorizzazione, non possono lavorare, spendere, leggere. Le poche fertili vengono assegnate esclusivamente alla funzione riproduttiva. Sono chiamate “le ancelle” e indossano un abito rosso sangue. Nel sesto episodio, si scopre che una delegazione messicana intende acquistarne alcune. «Nella mia città non nasce un bambino da sei anni. Non ho scelta, devo salvare il mio Paese», si giustifica l’ambasciatrice.
Salvare le nazioni, salvare le stirpi, salvare le famiglie. E le donne, chi le salva?