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 2017  agosto 18 Venerdì calendario

Aleppo Est un anno dopo: Omran sorride, fuori restano le macerie

Il 18 agosto 2016, con le vicende siriane in primo piano e l’assedio di Aleppo all’apice della violenza, una foto fece il giro del mondo: il volto sporco e scioccato di Omran Daqneesh, 5 anni, seduto composto nella pancia di un’ambulanza dopo essere stato estratto vivo dalle macerie della sua casa, colpita dai raid aerei russi.
Oggi, 365 giorni dopo, ad Aleppo est le cose, in parte, sono cambiate. I ribelli e gli oppositori al regime di Bashar al-Assad sono stati uccisi o hanno cercato rifugio in Turchia e in altre zone ‘sicure’ della Siria, specie nella provincia di Idlib. La perla del Medio Oriente, distrutta per metà, sta cercando di tornare ai fasti del passato, ma sarà un cammino lungo. La ricostruzione della parte orientale di Aleppo è partita lentamente.
Chi è tornato a vivere lì? I siriani fedeli al regime, tra fatalismo, interessi e la certezza di non avere un’alternativa. Sono numerosi i residenti di Aleppo est rimasti o ritornati nella città del sapone dopo la fine dell’assedio. Sotto le bombe russo-siriane hanno pregato e, in molti, raccolto i corpi senza vita dei loro cari senza neppure lo sfogo di un’invettiva contro i colpevoli. Ad Aleppo est, di circa 500 mila abitanti nel dicembre 2016 ne sono rimasti 40 mila. Come, soprattutto, Abu Ali Daqneesh, padre del piccolo Omran.
In quell’attacco era morto il fratello maggiore di Omran, Ali, 10 anni. Il padre non denunciò l’accaduto; lui, filo-regime, temeva, a suo dire, le ripercussioni dei ribelli asserragliati nel ‘fortino’. Terminato l’assedio, è partita la ricostruzione, al punto che i Daqneesh sono tornati ad abitare nella loro casa: “Hanno ricostruito in fretta e adesso i lealisti hanno riavuto la casa rimessa a posto; tutto ha un prezzo” racconta Rami Zien, uno dei tanti giovani ostili a Bashar al-Assad, riparato in Turchia. Famiglia Daqneesh a parte, la vita sta ripartendo ad Aleppo est. Tra mille difficoltà. Ci sono ancora cumuli di macerie da sgomberare e più della metà degli edifici sono stati distrutti o lesionati. Oltre alla ricostruzione fisica degli ambienti, la prima necessità da risolvere è l’acqua. Taher, 35 anni, elettricista, ha un figlio di 13, Omar, che vive con lui, e tre figlie piccole che vivono con i suoi genitori. Taher è originario di al-Sakhour, uno dei quartieri di Aleppo est particolarmente colpito dai bombardamenti. Dal 2013 vive con Omar nel centro Idp (Internally Displaced People) di al-Fourkan: “Siamo costretti a riempire i bidoni tre volte al giorno nel caso ci fosse una carenza di acqua nei punti di distribuzione – racconta – quando torno dal lavoro, la prima cosa che faccio è quella di mettermi in fila nei punti dove posso raccogliere l’acqua. Spesso lo faceva anche Omar, ma adesso soffre di reumatismi alle articolazioni dovuti al trasporto dei contenitori di acqua e all’umidità”. Senza acqua non c’è vita e proprio su quel fronte stanno lavorando le organizzazioni internazionali, tra cui l’italiana Gvc. “Ad Aleppo, specie a est – sostiene la presidente della Ong bolognese Dina Taddia – ci sono decine di migliaia di persone che non hanno acceso all’acqua. Noi aiutiamo questa gente realizzando depositi, tubature, pozzi per i rifornimenti. L’acqua potabile arriva dal fiume al-Furat, nella parte rurale a est di Aleppo. Da lì l’acqua viene indirizzata verso il sito di stoccaggio e distribuzione Sulaiman al-Halabi, poi pompata in grandi cisterne di pietra e da lì viene distribuita alla popolazione attraverso le tubature. Le infrastrutture idriche sono danneggiate e le organizzazioni umanitarie si sono concentrate nella riabilitazione dei pozzi, nella creazione di punti per la distribuzione e nel controllo della qualità. Guerra per l’acqua? Le risorse che garantiscono alla popolazione degli standard minimi di sopravvivenza e le organizzazioni che vi contribuiscono sono state spesso oggetto di attacchi”.