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 2017  agosto 18 Venerdì calendario

Piazza Affari scopre il peso dei soci retail

Per chi entra in uno dei 4.200 hotel del gruppo francese Accor basta esibire la tessera blu con bordo dorato: in cambio, si può beneficiare di un upgrade di camera, di uno sconto del 7% e una serie di offerte riservate. Magìa dello Shareholders club, esclusivo ma neanche tanto: per farvi parte basta infatti avere 50 azioni del gruppo in tasca, per un investimento che al prezzo di chiusura di ieri non raggiungeva i 2mila euro.
Difficile pensare che in molti abbiano deciso di comprare azioni Accor (che l’anno scorso ha fatturato 5,6 miliardi e distribuito 260 milioni di utili) solo per entrare nel club, ma al contrario è possibile che qualcuno abbia preferito non vendere per continuare a farne parte. Di qui il club, accanto al quale si pone anche lo Shareholder advisory committee, «organo consultivo e spazio di discussione per migliorare il modo con cui comunichiamo con gli azionisti retail», spiegano gli investor relator di Accor. Che è uno dei benchmark europei in fatto di attenzione per i piccoli soci, i quali dentro al capitale valgono almeno un quarto del 60% di flottante. Una presenza fondamentale per la stabilità dell’azionariato, che quindi – non solo in Accor – si cerca di fidelizzare in tutti i modi.
In Francia così come in alcuni altri mercati europei il tema è centrale da tempo, in Italia rischia di diventarlo presto. Per le stesse ragioni: con lo sfaldamento di salotti e vecchi nuclei di controllo è diventato decisivo il ruolo dei fondi, variegato mondo dove la stabilità della presenza è solitamente correlata alla natura più o meno speculativa degli stessi. Sta di fatto che non sempre si tratta di interlocutori facili (o reperibili), segnando un punto a favore degli azionisti retail. Che oltre ad avere un nome e un cognome, «tendono ad agire con logiche diverse rispetto ai fondi, hanno una maggiore tendenza verso l’acquisto che la vendita e maggiore fiducia nel futuro guadagno», osserva Andrea Di Segni, managing director di Morrow Sodali, leader nel mercato del proxy advisor. Morale: «La quota di soci retail diviene molto spesso una forza stabilizzatrice dell’azionariato che alcune volte assorbe gli shock finanziari».
Ma qui si apre un punto delicato. La storia finanziaria recente, in Italia più che altrove, è ricca di pagine amare, in cui sono stati proprio i cassettisti a pagare il conto delle scelte azzardate di amministratori o soci di controllo. Di qui la sfiducia (si veda anche l’intervista qui sotto), che in otto anni, tra il 2007 e il 2015, ha compresso dal 10,5 al 6% la quota del patrimonio dei risparmiatori italiani investita in azioni, secondo l’ultimo rapporto Consob. Certo c’è da aggiungere la quota azionaria del risparmio gestito (sceso a sua volta dal 17 al 15%), ma siamo comunque ampiamente sotto media rispetto al resto d’Europa.
E pensare che il retail «rappresenta oggi in alcune delle blue chips il primo azionista per aggregato se escludiamo fondi che hanno una matrice più diversificata», fa notare ancora Di Segni. «Non solo quindi conta come capitale sociale, ma anche come numeri visto che in almeno 20 blue chips italiane siamo ben oltre i 50mila azionisti». La fotografia è nei dati qui a fianco: in Generali l’azionariato retail vale il 26,8%, ben più dell’asse di controllo Mediobanca-Caltagirone-Del Vecchio che sfiora il 20%, in Enel il 22,4%, in Terna il 20,4%, in Telecom il 13,09%. Anche in UniCredit, reduce da un aumento da 13 miliardi che ha dimezzato il peso dei cassettisti, siamo ancora al 13,2%, dunque al di sopra del nocciolo duro dei (vecchi) soci di riferimento, composto da Aabar e Fondazioni.
Lo spazio di manovra, dunque, c’è. E l’esperienza internazionale mette a disposizione un ampio bacino di strumenti, che vanno dalla qualità e trasparenza dell’informazione a club per gli azionisti, benefici, premi, e partecipazione agli eventi assembleari: sottotraccia si segnalano le prime iniziative in materia. «La sensibilità al tema è crescente», conferma il consigliere di minoranza di una grande banca quotata, che nei mesi scorsi in consiglio ha istruito la pratica. «Spero solo che si faccia tesoro dell’esperienza passata, compresi alcuni eccessi visti nelle popolari».
.@marcoferrando77