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 2017  agosto 18 Venerdì calendario

Gregorio Paltrinieri: «Vincere è una gioia a metà: amo il percorso. Letizia mi entra nella testa come un chirurgo»

«Push me to the edge»…, spingimi fino al limite… Con il flusso fibrillante delle rime di Lil Uzi Vert (il tre volte disco di platino «XO tour Llif3») Gregorio Paltrinieri tocca il muretto dei 1500 metri stile libero a Budapest. E così, rappando, un altro oro mondiale, aggiunto a quello olimpionico del 2016 e a un palmares da brivido, porta il «ragazzo di Carpi» nell’olimpo dei nuotatori fondisti più forti di sempre. Impossibile non parlare di acqua con Greg. «In acqua rifletto, le parlo, quando nuoto entro in uno stato di trance e in gara cerco una canzone dentro di me e mentalmente la canto. Se finisce prima della fine, riparto. Agli 800 non l’ho fatto. E ho nuotato male». E s’è preso un bronzo.
«Sono un perfezionista, rigoroso nei dettagli. Sin da piccolo mi sono nutrito di sfide. Il nuoto segue la mia indole, è uno sport individualista, non saprei stare in squadra. Voglio primeggiare. Così è in vasca. Fuori dall’acqua no. Attacco bottone con chiunque, ho molti amici con cui passo serate a parlare, a raccontarci pure le nostre ansie. E a cazzeggiare: per strada, al cinema, ai concerti, inventandoci gite».
Greg emana quel tipo di energia giovanile che trasforma tutto in gioco. Ha un entusiasmo contagioso, francamente adorabile. Una giornata con lui è un ciclone di bambini, ragazzine, padri e nonni: un selfie con una mamma, un autografo a quello da cui si fa raccontare le prodezze. «Ero come loro, avevo una voglia matta di incontrare i miei idoli, Ian Thorpe, Michael Jordan, guardarli in tv non mi bastava, avrei voluto parlare, chiedere».
Ventitrè anni il 5 settembre per 1.95 di muscoli su gambe sottili che si avvalgono di un 48 ai piedi («Il mio fisico si è costruito su una bracciata esteticamente diversa dalla nuotata convenzionale», spara con l’orgoglio di chi ha fatto dell’imperfezione un punto di forza). Neanche un tatuaggio ma t-shirt stilose e divertenti, quando non indossa quelle di ordinanza: geometrie disaggregate, righe gialle e grigie, orsi-pirati, draghetti... E una faccia da cartoon che s’inarca in un sorriso simpaticamente storto. «Dicono sia una mia caratteristica. È colpa del pranzo che per anni ho consumato in auto, seduto accanto a mamma o un amico di famiglia mentre sfrecciavamo lungo la Carpi-Novellara. Mangiavo e parlavo, voltandomi di lato».
Cominciano da lì le vittorie. Dalla scuola di Carpi alla piscina di Novellara: venti minuti e quindici chilometri. Con Lorena, la mamma, che si era fatta cambiare gli orari dell’ufficio per accompagnarlo o, almeno, preparare i pasti. «Aspettavo i Tupperware ancora caldi, levavo i coperti indovinando, come con i regali di Natale: un giorno pasta in bianco, l’altro spaghetti al sugo o tortellini parmigiano e salvia. Oppure le tagliatelle. Al liceo, invece, i mega-panini di Lorena erano il mito della classe: Lollo, Morra, Tommy e la Leti mi accerchiavano per azzannarli». Sono nate così le amicizie storiche a cui si aggiungeranno quelle sportive, primo fra tutti Detti («rivale, amico, compagno di stanza, di stronzate e di scelte importanti»). E l’amore. La Leti, cioè Letizia, compagna di liceo («fa medicina ora, non è psicologa, ma riesce sempre a entrarmi in testa come un chirurgo, è più forte di me, si è diplomata al conservatorio in clarinetto, fa ricerca e ha fatto volontariato nelle favelas»). Scoperto solo diversi anni dopo, quando già Greg era arrivato al Polo natatorio di Ostia, il “castello”, lo chiama, dove si allevano i campioni della Federazione Italiana Nuoto.
«Avevo giurato a me stesso che sarei diventato un supereroe, per mesi ho lavorato andando in cerca dei superpoteri. Mi ero fatto i miei piani». Era in quinta elementare, un soldo di cacio e le sfide con papà Luca, allenatore nella piscina di Novellara. E pure tosto a basket. «Mi ha buttato in acqua a tre mesi, per molto tempo le mie giornate avevano una gerarchia, quella di mamma: prima lo studio, poi il basket. Dopo il nuoto. Lo studio, ammetto, è stato il lasciapassare per il nuoto. A scuola volevano farmi entrare nella squadra di pallacanestro: non mi sarebbe dispiaciuto. Se ho rinunciato al basket è colpa di mio padre. Se ho scelto il nuoto è merito di mio padre. L’abilità sua e di mamma è stata non costringermi e darmi gli strumenti per scegliere. Lui si è limitato a sfidarmi: “Ti vedo in forma, magari questa volta vinci tu… Ti va una garetta con papà?”». Per anni Luca lo ha sconfitto. In piscina e al mare. E a Lorena, che vedendolo soffrire gli chiedeva di farlo vincere, diceva che no, Greg avrebbe vinto quando sarebbe riuscito a batterlo con le sue forze.
Il polo di Ostia era uno dei piani. Avrebbe potuto allenarsi senza crollare di sonno a scuola, continuare a prendere buoni voti e la maturità studiando mentre si preparava ai Mondiali di Barcellona («passata con 80, avevo ipotizzato 79, quindi perfetto»). «Fare qualcosa di impossibile è sempre stato il mio sogno. A volte però, strafare prende il sopravvento. L’ho capito a Rio. Quando le bandiere azzurre coprivano gli spalti … lo sognavo da quindici anni. È invece, è stato solo una liberazione dalla pressioni di tutti quelli che si aspettavano che tornassi con l’oro. E dalla mia pressione. Ero orgoglioso e fiero, ma la vittoria olimpica non era neppure la metà di quella gioia pura e istintiva che ho vissuto da bambino quando, dopo allenamenti e sfide perse, ho superato mio padre in mare. Vincere è una gioia a metà. Mi piace il percorso che mi spinge ad arrivare, le emozioni, i momenti in cui ho pensato di smettere e quelli in cui mi vedo leggendario, 10 record di fila. A Rio la voglia di strafare è diventata paura. La gioia non goduta mi ha fatto capire che dovevo schiarirmi le idee».
Un anno, tralasciando gli esami (è iscritto a Scienze Politiche) con ogni momento libero passato a ripercorre desideri e fatiche e riversarle in un flusso avvincente di campionati, maestri severi, fumetti incarnati, sfide e baggianate. «Il peso dell’acqua» è appena uscito per Mondadori e Greg racconta l’altra faccia delle medaglie. «Non mi accontento di essere forte nello sport. Ci sarà un momento in cui finirà e io voglio essere pronto».