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 2017  agosto 18 Venerdì calendario

Nelle carte dell’inchiesta di Trapani i racconti dei profughi: «I trafficanti bucavano i gommoni per rendere i salvataggi credibili»

Racconti contenuti in non più di una decina di verbali, descrivono i viaggi di centinaia di migranti presi a bordo della Iuventa, la nave della Ong tedesca Jugend Rettet sequestrata dalla procura di Trapani, nel mare davanti alla Libia. Sono i racconti fatti da alcuni degli stessi migranti che ai poliziotti della Mobile di Trapani, raccontando delle loro traversie, hanno descritto quei contatti in mare, fin troppo amichevoli, tra trafficanti e equipaggi della Iuventa. Quei trafficanti, addirittura salutati da bordo amichevolmente al momento del distacco, erano stati i carcerieri di quei disperati: donne, uomini e bambini, sfiancati da mesi di soprusi e pesanti minacce, subiti all’interno delle tante «safe house» distribuite lungo la costa tra Sabratha e Zuwara. Migranti spinti, sotto la minaccia di armi e torturati, su gommoni e barconi quando era il momento, e dopo aver pagato ingenti somme per il «passaggio» verso l’Italia. I verbali, dove si fanno i nomi di alcuni trafficanti libici, fanno parte del fascicolo dell’indagine per immigrazione clandestina che ha portato proprio al sequestro, il 2 agosto scorso, della Iuventa, ferma ancora nel porto di Trapani.
Oumar, giovanissimo ivoriano finito in Libia con la speranza di andare a giocare al calcio, si è ritrovato in mezzo a centinaia di migranti in attesa di partire per l’Italia: «Mi hanno detto che per salvarmi avrei dovuto imbarcarmi per l’Italia, se fossi rimasto in Libia sarei finito in carcere». «Ci hanno raccolto di notte su una spiaggia e all’alba siamo partiti. Abbiamo trovato cinque gommoni pronti, sulla spiaggia c’erano diversi libici anche con abiti militari ed armi... uno dei libici sul mio gommone aveva una bussola e un telefono satellitare, lo abbiamo visto parlare al telefono diverse volte, poi è salito su una moto d’acqua guidata da un arabo dopo averci dato la direzione da seguire... ancora poche miglia e davanti a noi ci siamo trovati la nave che veniva a salvarci...». Per rendere «veritieri» quei salvataggi c’erano gommoni che partivano dopo essere stati «bucati»: «Ho visto – ha raccontato Henri, del Camerun – uno di quelli che ci aveva tenuto sotto la minaccia di un lungo coltello, usarlo per bucare il gommone nella parte posteriore e quando a quel punto non volevamo salire più a bordo, ha minacciato di torturarci con un machete; qualcuno di noi è stato ferito». Il gommone sarebbe riuscito così a navigare le poche miglia utili per arrivare al momento del salvataggio. Un migrante sub-sahariano ha raccontato di come con tanti altri è riuscito a raggiungere la Iuventa. Si tratta di uno degli episodi che agenti sotto copertura, imbarcati a insaputa dell’equipaggio della Vos Hestia della Ong Save the Children, sono riusciti a documentare con le foto presenti nell’ordinanza di sequestro della Iuventa. Ma prima delle foto, sul tavolo dei poliziotti durante i colloqui nell’hotspot di Trapani Milo sono arrivate le parole di questo migrante: «Siamo stati spinti a piedi verso la spiaggia, abbiamo attraversato un cordone di uomini armati, fino ad arrivare ai barconi di legno... abbiamo cominciato a navigare e un barchino con un paio di libici a bordo ci ha affiancati, c’era anche una motovedetta della Guardia costiera libica... non appena siamo stati vicini alla nave, la motovedetta si è allontanata, il barchino è rimasto; quando le barche in legno sono rimaste vuote, i libici, aiutati da alcuni dell’equipaggio, le hanno legate al barchino per trainarle verso terra». Jeuray, nigeriano, ha raccontato: «Quando navigavamo, siamo stati affiancati da una barca in vetroresina di colore bianco e nero con una persona a bordo... era un arabo e ha navigato per un tratto parallelamente al nostro gommone, indicandoci con il dito la direzione da seguire per raggiungere l’imbarcazione che ci avrebbe poi soccorso». Jeuray fu tra i migranti soccorsi dalla Vos Hestia; ma questo perchè, come si capisce dal rapporto investigativo, la Iuventa, presente in zona, era già carica di migranti e altri non poteva prenderne a bordo. «In mare ho visto anche una motovedetta della Guardia costiera libica circondata da altri barchini carichi di persone... e per accelerare i salvataggi da quella motovedetta ad un certo punto hanno cominciato a sparare, senza colpire nessuno ma per creare tensione». In alcuni verbali si trovano scritti i nomi dei trafficanti libici. C’è un tale Abdelaziz, «uno che si presentò a noi appena arrivati a Sabratha come un poliziotto», ha riferito il marocchino Charaf. «Si muoveva con uomini armati di pistole e kalashnikov».
A Sabratha c’era anche un libico soprannominato Rambo: «C’era lui a comandare – ha raccontato un camerunense – dentro un campo dove vengono ammassati i migranti, controllati a vista da un cordone di uomini armati distribuiti su tutto il perimetro; erano loro, questi uomini armati, a fare da recinto, noi non potevamo muoverci». Non sono stati molti i migranti a parlare con la polizia al momento del loro arrivo a Trapani. «Tanti – svela un investigatore – sembrava fossero stati istruiti per non dire nulla, silenzi talvolta attribuiti alla stanchezza e alle ore di viaggio estenuanti... come se esista un codice non scritto che i migranti devono seguire».