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 2017  agosto 17 Giovedì calendario

Macron. I primi machiavellici cento giorni e il test decisivo dell’autunno

La rapida comparsa sulla ribalta politica e poi l’altrettanto rapida elezione alla presidenza della Repubblica avevano fatto di Emmanuel Macron il nuovo seducente prodotto delle sconvolte, smarrite democrazie occidentali. Non soltanto di quella francese. Era apparso come un arcangelo Gabriele in giacca e cravatta capace di sconfiggere i demoni populisti che infestavano l’Europa. Aveva infatti trafitto elettoralmente Marine Le Pen che li riassumeva tutti in terra di Francia. Un eroe dunque che aveva fermato i barbari alle porte dell’Eliseo, il palazzo parigino del potere, come secoli prima erano stati respinti i turchi alle porte di Vienna. Il successo del trentanovenne Macron, ragazzo prodigio della democrazia europea, è apparso come un ringiovanimento del Vecchio Continente. Mentre oltreatlantico, sul Nuovo Continente, era appena entrato alla Casa Bianca il preoccupante Donald Trump. Una ventata di ottimismo e vasti e intensi elogi hanno accompagnato Emmanuel Macron il 14 maggio, giorno dell’investitura ufficiale, una settimana dopo il voto, e nell’attesa delle legislative destinate a confermare, con la maggioranza parlamentare, le prerogative presidenziali. Nonostante fosse già stato consigliere del principe e ministro dell’Economia, l’età conferiva a Macron una specie di verginità, gli risparmiava i rancori ancorati al passato del politico di lungo corso. IL NUOVO PANORAMA POLITICO Il 22 agosto saranno trascorsi i primi cento giorni al potere dell’ottavo presidente della Quinta Repubblica. E cento giorni non bastano certo per giudicare il titolare di un mandato che si protrarrà per cinque anni. Forse cinque di più se tenterà una rielezione, e non imiterà il predecessore François Hollande che se ne è andato, alla fine del primo mandato, nel giustificato timore di non essere riconfermato. Lo stesso Macron, prima ancora di essere eletto, ha detto di non credere al mito dei primi “cento giorni”. Per giudicare un presidente i tempi sono molto più lunghi. E tuttavia in questa manciata di giorni il panorama politico francese è cambiato. I partiti classici, detti di governo, sono stati marginalizzati e decimati. Il partito “La République en Marche”, creato dal neopresidente pochi mesi prima, ha conquistato la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale nelle elezioni di giugno, e i veterani della politica, di destra e di sinistra, sono scomparsi dai telegiornali e dalla cronache dei quotidiani, con qualche eccezione decisa (elargita come una grazia) da Macron in persona. I nuovi deputati, che dominano il centro dell’emiciclo parlamentare, provengono dalla società civile, spesso senza un’esperienza politica alle spalle. Il rifiuto dei termini destra e sinistra, come se il nuovo potere fosse un limbo, è stata più una rivoluzione semantica che uno sconvolgimento di principi. È emerso un “centrismo oscillante”, un pendolo perpetuo, con sottotitoli intarcambiabili: social-liberismo o liberal-progressismo. Una formula vaga, suggerita dalla smarrita identità dei partiti tradizionali non più capaci di canalizzare ed esprimere le aspirazioni della gente, degli elettori di un tempo. La Quinta repubblica non ha cambiato nome ma pelle. È stato il primo risultato dei cento giorni iniziali di Macron. IL FORTE IMPEGNO INTERNAZIONALE Nei primi passi presidenziali, il candidato che nei comizi voleva la bandiera europea accanto a quella francese, ha dimostrato un forte impegno sul piano internazionale. Con la ferma, implicita intenzione di dare alla Francia il ruolo che le spetta anche in quanto unico paese dell’Unione, dopo l’abbandono inglese, con un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza, e unico membro del club nucleare. Dopo il rituale primo viaggio a Berlino, per riconfermare l’intesa franco- tedesca, Macron ha stabilito un rapporto con Donald Trump che si distingue ancora dall’atteggiamento freddo, critico, che Angela Merkel adotta con il presidente americano. La cancelliera è immersa in una campagna elettorale che rallenterà fino al prossimo autunno i suoi impegni europei e internazionali, ma non avrebbe comunque coltivato un dialogo intenso con Trump sulla traccia di Macron. Dopo avere ricevuto il presidente americano a Parigi per il 14 luglio, Macron è diventato il privilegiato interlocutore europeo di Trump, su questioni che vanno dalla Siria all’Ucraina alla Corea del Nord. Mentre tra due comizi, Angela Merkel trova il tempo di deplorare il comportamento di Trump. Ad esempio, negli ultimi giorni, i suoi toni con la Corea del Nord. Ed è un po’ come se Merkel volesse distinguersi dal rapporto disteso, ma non complice, creatosi tra Macron e Trump. IL CALO NEI SONDAGGI Autore di una tesi su Machiavelli, Macron ritiene essenziale, non a torto, il dialogo con i partners difficili. E gli Stati Uniti sono un alleato con un presidente problematico. Con l’America di Trump, Pari- gi ha assunto una posizione appunto “machiavellica”, giustificabile ma anche in contrasto con quella di Berlino. La scavalca. Invitando i due grandi rivali libici, il presidente di Tripoli e il maresciallo di Bengasi, Macron ha escluso l’Italia, alleato particolarmente impegnato in quel paese. Parigi ha così scavalcato anche Roma. L’incontro tra i due rivali libici, che ritornati in patria hanno continuato a insultarsi, non ha dato in apparenza alcun risultato, neppure un documento firmato. Anche in questo caso il giovane Macron ha lavorato di gomito. Il suo europeismo non si è manifestato nel rapporto con i principali partners dell’Ue. Ha senz’altro risparmiato al suo paese, e quindi all’Europa, un’esperienza populista, ma non è insensibile al richiamo sovranista francese. I cittadini della Quinta Repubblica non perdono tempo nel “ghigliottinare” con i sondaggi il presidente-monarca che hanno appena eletto. Così la ventata di popolarità e di ottimismo suscitata in primavera dall’ingresso di Macron all’Eliseo si è presto affievolita a giudicare dalle indagini d’opinione. Le quali rivelano un paese in cui una forte maggioranza è già scontenta dell’eroe di maggio. Non tanto perché risulta più autoritario del previsto e meno accessibile nel palazzo dell’Eliseo, ma perché le promesse annunciate o immaginate tardano a concretizzarsi e la gente è impaziente. Lo stato di grazia, concesso ai neoeletti non è durato neanche una stagione. IL REBUS DEI CONTI PUBBLICI Gli umori del momento sono dettati dalla vita quotidiana e possono esprimere una sfiducia passeggera. Un rigurgito di pessimismo. Pur essendo sensibili al ruolo internazionale del loro paese, i francesi vogliono anzitutto uscire dalla stretta economica degli ultimi anni. La riforma del mercato del lavoro è il grande appuntamento della ripresa. Dovrebbe ridurre la disoccupazione, la ferita sociale più sentita, dando in particolare la precedenza agli accordi aziendali su quelli di categoria. I sindacati non condividono l’essenziale del nuovo codice del lavoro e potrebbero provocare un autunno caldo. Anche perché l’esibita volontà di riportare il deficit pubblico sotto il tre per cento entro la fine dell’anno costringe il governo a ridurre la spesa e a rinviare le riforme promesse per uscire dall’austerità. Ci vogliono più di cento giorni per giudicare un presidente.