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 2017  agosto 17 Giovedì calendario

L’inchiesta è appesa all’ultima battaglia sulle intercettazioni. Cosa resta in piedi e cosa vacilla nel groviglio di filoni tra corruzione e fughe di notizie

Romeo libero da un lato, l’inchiesta Consip più a rischio, dall’altro. L’ordinanza del Riesame di ieri era attesa, l’esito quasi scontato: il presunto “dominus” degli accordi corruttivi, così descritto dagli investigatori, già si preparava da settimane a lasciare “braccialetto” e domiciliari dopo la bocciatura di fondo e le rigorose argomentazioni che la Cassazione, sesta sezione penale, rinviava a giugno ai giudici romani della Libertà. Ma se è squisitamente su questi presupposti che il fondatore del gruppo Romeo ora si lascia alle spalle la detenzione (restando indagato a Napoli, e imputato a Roma), allora l’inchiesta Consip può dirsi ancora meno al sicuro. Se per Romeo si tratta del primo passo verso una controffensiva, quanto meno mediatica, per gli altri indagati eccellenti, da Renzi senior al ministro Luca Lotti, si potrebbe profilare – almeno in teoria – la speranza di una via di fuga. Di un insperato “alleggerimento” delle loro posizioni. Il motivo? Nel mirino del ricorso accolto ieri, un capitolo riguarda quelle intercettazioni «particolarmente invasive» previste solitamente in presenza di associazioni di stampo mafioso, concesse dal gip, e sulla cui legittimità i magistrati della suprema Corte hanno avanzato dubbi. LA SVOLTA IN CASSAZIONE Romeo dovrà comunque rispondere di corruzione e comparirà a processo, a Roma, il 19 ottobre, anche in ragione delle confessioni del co-indagato, Marco Gasparri. Ma gli ermellini, nelle motivazioni depositate il 25 luglio scorso, affondavano il colpo sull’arresto di Romeo, andando alla radice: sui criteri con i quali quella cattura era stata originariamente concessa dal gip, il primo marzo, e poi confermata dal primo pronunciamento del Riesame il 24 dello stesso mese. IL SISTEMA ROMEO? NON C’È La Cassazione induceva i giudici del Riesame a rivedere la debolezza delle motivazioni su cui si fondava l’esistenza del cosiddetto “sistema Romeo”. «Non si comprende – scrivono i giudici della suprema Corte – dall’ordinanza impugnata di quali contenuti operativi consista ed in quali forme e modalità concrete s’inveri il metodo o il sistema di gestione dell’attività imprenditoriale da parte del Romeo, cui si fa riferimento per giustificare l’ipotizzato esercizio di una capacità d’infiltrazione corruttiva in forme massive nel settore delle pubbliche commesse». RENZI SR E LE INTERCETTAZIONI Ma è sulle captazioni con il virus- spia, che ha prodotto intercettazioni agli atti, che si gioca il secondo tempo di questa partita. Il clamoroso caso coinvolge tuttora la nutrita rosa di eccellenti: Tiziano Renzi, padre dell’ex premier, il faccendiere suo amico Carlo Russo, l’ex deputato Italo Bocchino (tutti e tre indagati per traffico di influenze illecite); il ministro Luca Lotti, il comandante generale dell’Arma Tullio del Sette e il vertice dell’Arma in Toscana Emanuele Saltalamacchia (per rivelazione del segreto d’ufficio: sospettati di aver soffiato ai vertici Consip, tra cui l’ex ad Luigi Marroni, l’esistenza dell’indagine aperta Napoli). Eccellenti che osservano con attenzione l’evolversi dell’ultimo passaggio. Perché l’annullamento dell’ arresto di Romeo rischia di trascinare nel cestino alcune fonti di accuse. Il Riesame dovrà pronunciarsi anche sulla non utilizzabilità di quei dialoghi captati a Romeo e presunti complici. Anche in riferimento a contatti, cui erano legate presunte proiezioni di favori ed elargizioni (come quell’appunto sul “pizzino” negli uffici di Romeo: 30 mila per T, interpretato come la mega tangente diretta a Renzi senior). È la rete di relazioni cui, per i pm romani, Ielo e Palazzi, costantemente mirava l’industriale. (Per corromperli, come dice l’accusa? O per non essere danneggiato “dai cartelli del nord”, come dice la difesa?). GLI ACCUSATORI ACCUSATI Il caso Consip è diventata anche clamorosa indagine sugli investigatori. E sulle numerose fughe di notizie. Da un lato il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, sospettato di aver falsificato alcuni atti. Dall’altro, in relazione alle anticipazioni pubblicate dal Fatto quotidiano, entra come indagato nell’inchiesta romana, per rivelazione di segreto, anche il pm napoletano Henry John Woodcock (insieme con la sua compagna, la giornalista Rai Federica Sciarelli), il magistrato che con la collega Celeste Carrano ha avviato l’intero caso. Un’inchiesta decisamente alla svolta.