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 2017  agosto 17 Giovedì calendario

Birgit Hamer lotta per riaprire il caso di suo fratello, colpito da Vittorio Emanuele sull’Isola di Cavallo: «Voglio giustizia per Dirk  ucciso da un Savoia»

«Non avevo altra scelta. Chiunque, se fosse capitato al proprio fratello, o sorella, avrebbe fatto lo stesso. È un imperativo chiedere giustizia e far trionfare la verità». Si accende lo sguardo di ghiaccio di Birgit Hamer, quando le chiediamo come si può portare avanti una lotta per 40 anni contro tutto e tutti, a partire da un uomo potente e illustre, Vittorio Emanuele di Savoia, chiedendo giustizia per il fratello Dirk, colpito nella notte tra il 17 e il 18 agosto all’Isola di Cavallo, in Corsica, nel 1978. Tragedia che inghiotte gli Hamer, tedeschi a Roma.
Incontriamo Birgit in un hotel a Mijas, vicino a Malaga (Spagna), dove festeggerà i 60 anni il prossimo 9 settembre con le figlie. La giustizia italiana le ha già fatto un regalo: la Cassazione il 3 agosto ha negato al Savoia il diritto all’oblio per le sue responsabilità, confessate in una intercettazione del 2006 (era in carcere a Potenza) che è al centro del nuovo contenzioso, per cui è prevista udienza il 20 settembre a Roma. Birgit vuole riaprire un caso che la giustizia francese (nel 1991) ha chiuso in maniera frettolosa e discutibile.
Birgit Hamer entra nel bar dell’hotel Mijas con passo elegante, scioglie i capelli lunghi, una criniera da leonessa indomita nel difendere la memoria di un cucciolo di uomo: Dirk, strappato alla sua giovinezza, avrà sempre 19 anni. Il tempo sembra fermo, Birgit ha lo stesso sguardo di quando nel 1979 chiedeva giustizia per il fratello. Solo, più illuminato. Dalla fede che ha scoperto in Cristo.
Sono passati 39 anni. Cosa non riesce a dimenticare?
«L’urlo di mio fratello: “Anestesia, anestesia!”, come a dire “narcotizzatemi, sto soffrendo terribilmente” per farsi capire, da tedesco, tra gli italiani. Ho passato ore e ore con lui in braccio, mentre sanguinava, mentre aspettavamo, invano, il soccorso che il Savoia, che sapeva di aver ferito qualcuno, aveva promesso: vedevo la sua bellissima faccia che reagiva in modo eroico, era stato ferito nel sonno profondo all’arteria femorale».
Qual è invece un bel ricordo di suo fratello?
«Era un compagno di giochi fantastico, un maschio forte, ma dolce. Una volta la bambinaia ci raccontò che quando si muore e vieni seppellito ti crescono le ali. Lui un giorno si mise in una buca in giardino per vedere se gli spuntavano».
Come immaginava la sua vita prima di quella notte?
«Volevo sposarmi con un grande amore, da giovane, avere 7 figli e vivere in campagna, diventare esperta nel fare buone marmellate. Avrei desiderato una vita forse piu femminile, con meno battaglia».
Nel 1976 vinse Miss Germania, aveva davanti a sé un futuro promettente.
«Se ti succedono certe cose ti rendi conto di quanto è frivolo tutto, la moda, il cinema. L’idea di una carriera si ridimensiona. Dissi no al contratto da un milione di dollari dell’agenzia di Eileen Ford, nel 79: mi aveva già portato il visto, ma no, dovevo combattere perché mio fratello avesse giustizia. Non puoi voltare pagina. Comunque Ford mi aiutò a trovare lavoro a Parigi, dove ho fatto di tutto perché il Savoia fosse processato».
A Parigi incontra Newton.
«Mi invitò nel suo studio e mi disse “Ah lei è bellissima la prego si tolga tutto, ho visto le sue foto ma ho bisogno di vederla nuda per le mie”. Ma io “no, mi spiace, non ho l’abitudine di svestirmi davanti a un uomo che non conosco”. E lui disse “peccato, tu per me saresti la donna perfetta”».
La carriera da modella è finita lì. Non so della marmellate, ma ha delle figlie.
«Bellissime. La mia gioia. Sigrid, che fa Legge, ha 27 anni, e Delia, 25, che ha studiato arte all’Accademia di Brera di Milano, poi un master a Londra. Ha il talento dello zio nella pittura. Le loro nascite sono stati i momenti più belli della mia vita».
Un altro giorno che ricorda con gioia, quale è stato?
«Quando mi sono resa conto che esiste una forza d’amore più grande di tutto: Cristo si è fatto vivo con me, ho capito che non sono sola. Mi ha ridato il coraggio di vivere e mi considero privilegiata per questo. Ho vissuto per anni in un inferno di dolore, il dolce Re e le mie figlie mi hanno salvato. Cristo dice che dobbiamo perdonare, è l’unico modo per sopravvivere».
Lei ha perdonato il Savoia?
«Sì, a livello umano ho compassione per chi si trova in uno stato di cinismo totale, come il Savoia, la cui anima vive con una colpa pesante, ma immagino abbia forse dei consiglieri che si avvantaggiano dal negarla. Mi auguro che lui abbia il coraggio di assumersi le sue responsabilità. Io cerco solo giustizia, non vendetta».
Fu il consiglio di Moravia.
«Sì. Alberto Moravia aveva letto tutto della mia battaglia, voleva conoscermi, mi invitò a prendere un té, a Roma. Gli chiesi un aiuto, una sua frase, in pubblico, avrebbe aiutato. Ma disse no, che ero come una siciliana, una araba: vendicativa. Dovevo perdonare. Risposi che ero tedesca, volevo giustizia, non vendetta. Fu gentile, ma era in pensione come voce morale».
Sempre a Roma, per il funerale di sua madre, incontra anche Marina Doria, la moglie di Vittorio Emanuele.
«Ero distrutta, stravolta, camminavo senza meta e arrivai alla chiesa di San Lorenzo in Lucina, c’era molta folla, chiesi perché e mi dissero che c’era Marina Doria. Entrai e vidi che c’era una fila per farle il baciamano; allora ho detto a tutti, a voce molto alta: “Oggi è il giorno che è stata seppellita la madre di Dirk Hamer, che è morta del cuore spezzato perché non c’è stata giustizia!”. E allora successe una cosa incredibile, tutta la gente si è messa ad applaudire, gli stessi che erano in fila per il baciamano. Poi, Marina Doria gesticolava, sono arrivate le guardie e mi hanno portato fuori, poi al Commissariato; ma lì tutti erano carini, mi consolavano, perché sono scoppiata a piangere».
Qual è l’elemento secondo lei di maggior colpevolezza del Savoia?
«Era chiaro l’intento di uccidere gli italiani presenti, lui lo urlava: “Italiani di merda, vi ammazzo tutti!”. Era quello che oggi definiremmo un “attacco terroristico”. Arrivare con un fucile da caccia mentre gli altri dormono. Per fortuna Nicky Pende è riuscito a disarmarlo, buttandolo in acqua, sennò avrebbe potuto esserci una strage: c’era la volontà di uccidere, non di uccidere mio fratello. Una persona normale per un fatto del genere può ricevere un ergastolo e il Savoia invece si vanta di averla fatta franca. Secondo i miei avvocati la confessione del carcere di Potenza dovrebbe permettere di riaprire il processo, bisogna vedere. Intanto vediamo come va qui in Italia, dove potrei avere giustizia, anche perché, non va dimenticato, il Savoia voleva uccidere degli italiani, quella notte, sull’Isola di Cavallo».