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 2017  agosto 17 Giovedì calendario

Crollano le statue e il mito sudista. Ruspe comunali nella notte a Baltimora contro i monumenti ai Confederati

La Storia è una ruspa che arriva in una notte d’estate per sradicare una statua di bronzo: magari un po’ lenta, ma molto difficile da fermare. L’adunata neonazista di Charlottesville, la morte di una ragazza che protestava e di due agenti che pattugliavano la zona in elicottero non hanno fatto altro che accelerare la rottamazione dei monumenti sparsi per la ex Confederazione – gli Stati che sfidarono l’Unione di Lincoln nella guerra civile – dedicati agli eroi sudisti.
Erano già pericolanti sui loro basamenti, in un’America e in un Sud molto diversi da quelli del secolo scorso nei quali quelle statue furono erette per celebrare il mito – sempre più tossico – della «Causa persa», la sconfitta nella guerra civile combattuta per conservare l’istituto della schiavitù (il 40% della popolazione della Confederazione era in catene: trattavasi tecnicamente di uno Stato di polizia, non di una sorta di utopia georgica con case palladiane, té freddo e magnolie come vorrebbero i revisionisti).
Ora la grintosa sindaca di Baltimora, Catherine Pugh, che già aveva fatto piazzare da una commissione di storici dei cartelli, accanto ai monumenti, per spiegare chi fossero davvero gli uomini lassù, ha trovato rapidamente la maggioranza per far smontare le 4 statue cittadine dedicate a eroi sudisti. E ha mandato gli operai a eseguire l’ordinanza. Ha i giorni contati anche il monumento ad Annapolis, sempre in Maryland, al giudice della Corte suprema che stilò la sentenza (1857) che ribadiva come i neri fossero privi di diritti «che un bianco debba mai rispettare».
Traballano statue in Florida come in Virginia e perfino nel West, al cimitero Hollywood Forever dove riposano divi di Hollywood (da Douglas Fairbanks a Rodolfo Valentino ma anche trenta soldati confederati, con monumento); in North Carolina, a Durham, manifestanti antirazzisti hanno abbattuto un altro monumento (quando l’hanno portato via i netturbini era costellato di sputi). È una reazione a catena: altre ne cadranno ancora. Se saranno le ruspe o i ragazzi di «Antifa» con la corda da alpinista è ininfluente.
Quei monumenti vennero edificati, nella maggior parte dei casi, nei primi decenni del Novecento, oltre mezzo secolo dopo la fine della guerra, quando i neri nel Sud non avevano accesso alle scuole dei bianchi, ai ristoranti, alle piscine, viaggiavano sul retro dei bus e se volevano votare dovevano prima sottoporsi a grotteschi test che neppure Pico della Mirandola sarebbe stato in grado di superare. Ora la «Causa persa» non è più un mito da perpetuare ma una leggenda da sfatare; non soltanto perché umilia i non bianchi, ma anche perché sono i bianchi del Sud i primi, per la maggior parte, a esserne disgustati. La cultura pop aveva già messo in castigo il generale Lee più famoso della tv: quando la serie Hazzard diventò un film qualche anno fa, dal tetto dell’auto sportiva chiamata appunto «Generale Lee» dei tamarrissimi cugini Bo e Luke sparì la bandiera dei «ribelli», che trent’anni fa era pittoresca e ormai è presentabile più o meno quanto una svastica (l’unico momento di leggerezza in questi giorni difficili è arrivato dall’anonimo manifestante che ha scritto «Due asini a cavallo» sul basamento della ormai defunta statua, a Baltimora, dei generali Lee e Sherman). Così si spengono le luci sull’autocelebrazione di un popolo sempre più sparuto e di un mito che non è mai esistito: il Sud moderno guardava già da un ventennio alle nostalgie sudiste con un misto di imbarazzo ed esasperazione.
Nella pittoresca Richmond, Virginia, a pochi metri dai caffé per gourmet dove ragazzi tatuati preparano ottimi cappuccini con macchine italiane, ci sono ancora le statue del presidente della Confederazione Jefferson Davis – l’anti-Lincoln a capo della rivolta – e del generale Lee. Pochi metri più in là c’è la statua ad Arthur Ashe, campione di tennis e sportività, icona dei diritti civili: due mondi costretti a una convivenza complicata, resa adesso impossibile da quelle tonnellate di bronzo ormai tanto pesante da collassare su se stesso, schiacciato più che dalle ruspe dal peso della Storia.