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 2017  agosto 17 Giovedì calendario

Quel torpore nazionale sulla Cina e Fca

L’ interesse che alcuni gruppi cinesi hanno mostrato per il gruppo Fiat Chrysler Automobiles dovrebbe scuoterci da un certo torpore che sembra ammantare il nostro Paese quando si parla di politica industriale e di sviluppo.
E segnatamente quando le vicende riguardano grandi aziende o interi filoni industriali.
È vero che Fca ha sicuramente allentato i legami con il nostro Paese, basti pensare al trasferimento della sede in Olanda e addirittura nel Regno Unito prossimo alla Brexit. Ma anche quelle scelte sono state accolte con sin troppo fatalismo e senza alcun tipo di ragionamento sul perché esse fossero accadute e con quali conseguenze per il nostro Paese. La relativa tranquillità con la quale si è appreso degli abboccamenti tra gruppi cinesi e Fca non vorremmo tradisse una sorta di sottovalutazione di quanto conti il settore automotive nella struttura industriale italiana. In occasione delle questioni riguardanti una acquisizione come quella della società Stx da parte della Fincantieri in Francia era sembrato risvegliarsi un certo interesse. Temiamo più per un sussulto di orgoglio nazionale di fronte a un contratto stracciato che per il peso reale dell’operazione. Operazione importante di sicura valenza industriale, ma sulla carta del valore di poche decine di milioni. E comunque altrettanto sicuramente non paragonabile a una alleanza se non vendita del gruppo Fca.
Il 10% della ricerca nazionale è legata al settore dell’ automotive. Ed è vero che le circa 2.500 imprese della componentistica hanno fatto in modo in questo ultimo decennio di avere meno marcati rapporti con il produttore nazionale. Anzi, hanno ampliato il loro raggio d’azione e trovato all’estero mercati di sbocco e partner. Ma dei nove stabilimenti dei costruttori censiti dall’Anfia (l’associazione delle imprese della filiera automobilistica), oltre a quello Piaggio di Pontedera e quello di Sant’Agata del gruppo Volkswagen, gli altri sette, che fanno il grosso della produzione, sono Fca. Il peso del settore automotive sul Pil è tra il 5 e il 6%. Gli addetti diretti e indiretti sono pari a 1,2 milioni dei quali circa 260 mila strettamente legati alla produzione. Si sta parlando di un ambito a più alto tasso di innovazione in grado di orientare i nostri stessi modelli di vita. Si pensi solo alla mobilità e a come essa ha cambiato volto negli ultimi anni. Ci avviamo rapidamente ad avere auto i cui sistemi di propulsione saranno sempre più a impatto ambientale decrescente. La quota di mercato di motori più puliti dall’ibrido all’elettrico, passando per il metano e gpl, punta nel nostro Paese al 20%. Parlare di smart cities senza che l’auto non ne sia parte integrante sarebbe velleitario. L’economia condivisa ha avuto con il car sharing la consacrazione più tangibile. Sulle vetture a guida autonoma si stanno scontrando i padroni della tecnologia mondiale.
Del resto sembriamo non riuscire a imparare dal passato. Quando la Fiat tentò di acquisire Opel da General Motors nel 2009, la reazione del governo tedesco fu quasi rabbiosa. Quella italiana non pervenuta. Oggi la Opel è finita ai francesi della Psa. Non si tratta di opporre chissà quali veti a un gruppo la cui testa (e azionariato) ormai con il nostro Paese hanno ben poco a che fare. O di opporre fragili quanto probabilmente inutili barriere di protezione. Ma essere consci delle conseguenze dell’alterazione di equilibri in un settore che pesa per il 7% dell’intera manifattura. E comprendere che le scelte della Exor della famiglia Agnelli e dei suoi manager, a cominciare dall’artefice della rinascita della Fiat prima e della Fca poi, Sergio Marchionne, non saranno ininfluenti per il futuro del nostro Paese. E tentare di avere una strategia. Siamo maestri nelle analisi dei nostri errori a posteriori. La vicenda Telecom ne è l’esempio. Si è arrivati a mettere in discussione addirittura l’intero impianto delle privatizzazioni per giustificare l’attuale situazione di una società di fatto a guida francese, dimenticando in quali condizioni fosse il nostro Paese nei primi anni Novanta del secolo scorso. Il silenzio su che cosa accadrà di Fca sarebbe colpevole.