Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 17 Giovedì calendario

In principio fu l’Estate romana, la madre di tutti i festival. Era il 25 agosto 1977

Quella notte d’agosto di quarant’anni fa restarono tutti spiazzati. I cittadini romani, sorpresi davanti alla magia (mai capitata prima di allora) di assistere alla proiezione di un film, circondati da ruderi così maestosi e così vetusti: quelli della Basilica di Massenzio, l’ultimo imperatore pagano. Rimasero stupiti anche gli organizzatori del Campidoglio, scoprendo che le seggioline in platea erano state invase da tremila persone, accorse per rivedere Senso di Visconti.
Era il 25 agosto 1977 e la sorpresa di quella notte non restò un fatto interiore: ebbe un effetto moltiplicatore. Aguzzò lo spirito creativo di due intellettuali diversissimi tra loro, il sindaco di Roma e storico dell’arte Giulio Carlo Argan e il suo assessore alla Cultura, l’architetto Renato Nicolini. Il secondo, col beneplacito del primo, promosse una lunga striscia di originalissimi eventi all’insegna dello svago intelligente e di massa: nacque l’Estate romana.
Argan e Nicolini
Un’esperienza che fece scuola, anche all’estero. Se oggi, nei mesi estivi l’Italia è il Paese europeo col maggior numero di festival di ogni genere (Nomisma ne ha contati 927), ebbene «nasce tutto da là», sintetizza il critico teatrale Franco Cordelli. Un consuntivo che fa dire a Walter Tocci, direttore del Centro per la riforma dello Stato: «Renato Nicolini è stato uno dei più geniali intellettuali italiani del secondo Novecento».
Tutto ebbe inizio per l’incontro casuale tra un uomo di cultura «classico» come Giulio Carlo Argan (nel 1976 era diventato il primo sindaco progressista di Roma dal 1945) e un giovane docente universitario iscritto al Pci, l’ironico e dinoccolato Renato Nicolini, diventato per caso assessore alla Cultura, fino ad allora ufficio adibito a piccoli favori. La notte di Massenzio fu l’archetipo di quasi tutto quel che venne dopo. Come ha scritto Nicolini nel suo libro Estate romana, avevano assistito alla prima proiezione «ragazzi che si passavano uno spinello», ma anche famiglie romane «con plaid, nonni e ragazzini, pentole di pasta, sfilatini con la frittata e fiaschi di vino».
Con quella idea di tenere assieme «alto» e «basso» e di mescolare con ironia e senza sussiego cultura pop e cultura impegnata, nacquero eventi poi replicati altrove (rassegne musicali, teatrali, cinematografiche) e altri, invece inimitabili: come la proiezione davanti al Colosseo del Napoléon di Abel Gance, nella versione restaurata da Francis Ford Coppola e musicata dal padre Carmine, ospiti d’onore Danielle Mitterrand e il ministro della Cultura francese Jack Lang, che poi rilanciò in Francia una rassegna che riprendeva lo spirito dell’Estate romana. E come il Festival dei Poeti sulla spiaggia di Castelporziano: trentamila giovani parteciparono a una caotica, vitale kermesse durante la quale furono applauditi personaggi come Ginsborg, Evtushenko, Borroughs,e contestata Dacia Maraini, che iniziò: «Avevo una bella faccia verde…». Accolta dai fischi, si ritrasse: «Avete ragione, la poesia non serve a nulla, rinuncio…».
Ma il nucleo più attuale – sino a oggi mai concettualizzato – di quella esperienza sta nel rapporto tra la politica e gli intellettuali «disorganici» che collaborarono all’Estate. Alberto Abruzzese, Franco Cordelli, Achille Bonito Oliva, Franco Purini, Simone Carella, Bruno Restuccia e tanti altri ebbero carta bianca, per concretizzare le loro suggestioni. In una stagione come l’attuale, nella quale si riaffacciano gli intellettuali fiancheggiatori dei leader, l’esperienza di 40 anni fa dimostra che quando la politica diventa più colta, le città respirano. Come era accaduto negli Anni Sessanta a Bologna, con l’architetto Pier Luigi Cervellati e con Carlo Maria Badini. A Perugia negli Anni Cinquanta, con l’igienista Alessandro Seppilli, sindaco di Perugia. O con l’architetto Luigi Piccinato, artefice della prima «rinascita» di Matera.
Le perplessità del Pci Moderno, allora come oggi, era stato anche l’approccio anti-accademico, che finì col contrapporre Nicolini al proprio partito, lo strutturatissimo Pci di Enrico Berlinguer, che alimentò la polemica contro l’effimero e i suoi eventi bizzarri e stranianti, dalle mongolfiere librate in cielo agli acrobati in piazza Farnese. «La cultura non è solo avanguardia», ammonì Giorgio Amendola. Replicò a tutti Argan: «Quando si dice cultura dell’immagine e dell’effimero, ci si riferisce al precedente del barocco romano», «che ha scoperto il pensiero immaginativo» e perciò «contrapporre l’effimero allo storico dimostra sprovvedutezza».
Parole profetiche. Gli eventi delle Estati romane – e quelli dei tanti Festival di questi 40 anni – sono esperienze che hanno stimolato curiosità culturali, e lasciato un segno, nei tanti che le hanno vissute. Dimostrando che aveva ragione chi aveva immaginato lunga vita all’effimero di Renato Nicolini.