Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 17 Giovedì calendario

La Beyoncé Spa non guadagna con lo streaming

Secondo Forbes Beyoncé Knowles, star internazionale della musica e moglie dell’altrettanto galattico rapper/discografico/imprenditore Jay Z, nel 2017 ha fatturato 250 milioni di dollari solo con i concerti portandola ad avere un patrimonio personale di ben 105 milioni di dollari; Queen B però è solo seconda nella speciale top ten delle pop star più ricche poiché il rapper Sean Diddy Combs si è classificato primo con ben 130 milioni di dollari. Il canadese Drake è quarto con 94 milioni e ancora più giù (ottavi) i Coldplay.
Pensate che queste cifre provengano dalle vendite dei dischi che stazionano da settimane, in qualche caso dei mesi, ai vertici delle classifiche? Sbagliato.
Se fosse per le vendite dei dischi o dai guadagni derivati dallo streaming Beyoncé non solo non sarebbe nella top ten dei più ricchi ma, facendo due conti, nemmeno nella top 50. I soldi veri, le somme a sette zeri che arrivano nei conti in banca delle star arrivano soprattutto dai biglietti dei concerti e solo in minima percentuale dalle vendite dei dischi, del merchandising o dal proprio nome venduto impresso su marchi di moda, profumeria o tecnologia. Il “value gap” (la presunta differenza tra quanto corrisposto da YouTube, Spotify eccetera all’industria musicale e quanto da essa percepito come legittimo) è una percentuale di guadagno talmente bassa da lasciare di stucco più di un analista.
Un esempio per tutti (ma vale anche per colleghi altrettanto importanti) è proprio quello di Beyoncé. Prendendo il 2016 come anno di riferimento l’ex Destiny’s Child aveva guadagnato complessivamente 62,4 milioni di dollari dei quali 1,3 provenivano da diritti editoriali, 4,5 milioni dalle vendite dei dischi, 54,7 milioni dai biglietti dei concerti e, attenzione, solamente 1,9 milioni dallo streaming combinato tra piattaforme audio e video.
«Uno scandalo – dice Peter Mensch, il manager di Metallica e Red Hot Chili Peppers – YouTube, Spotify, Tidal, Deezer e tutte le società di streaming audio video che si stanno prendendo il mercato sono il diavolo. I miei artisti ricevono solo noccioline. Noi non veniamo pagati che pochi dollari da società che stanno facendo miliardi sulla nostra pelle». Che questo sia un assunto definitivo non è detto poiché lo streaming è un servizio ancora troppo giovane per poterci raccontare se il cosiddetto “modello di mercato” sia da considerare a scapito degli artisti.
Certo è che uno tra i “grandi vecchi” della discografia come il grande Clive Davis (ha scoperto Whitney Houston) in un’intervista recente ha detto di aver capito da dove sia partita la crisi delle vendite e per contro, l’ascesa dello streaming: «La colpa di questa discesa agli inferi della discografia è solo di Mtv che negli Anni 80 costruì un impero sul video broadcast senza che la discografia chiedesse in cambio uno straccio di royalty. Ora, con lo streaming, ne stiamo pagando le conseguenze». Come dargli torto.