Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 15 Martedì calendario

Quando Buzzati sul «Corriere» denunciava la scomparsa degli orsi dalle Alpi

L’orso grizzly di Yellowstone che non è più una specie protetta e rischia di pagare con la vita ogni suo sconfinamento tra gli umani. L’orso Mario del parco nazionale d’Abruzzo che scende a Villavallelonga, in provincia de L’Aquila e rimane intrappolato nel salotto di un’abitazione privata. L’orsa KJ2 che, dopo aver aggredito a sorpresa un idraulico in pensione su un sentiero del Trentino, è stata abbattuta dopo una caccia serrata da parte dei forestali. Chissà che cosa penserebbe Dino Buzzati della calata degli orsi che sta caratterizzando questa estate 2017. E come ne scriverebbe. Lui, che ne aveva prevista una già nel 1945 e non una qualsiasi ma «La famosa invasione degli orsi in Sicilia», fiaba per bambini animalista e pacifista, impregnata dell’amore dell’autore per la natura.
La favola racconta la storia degli orsi (buoni) che scendono in città dalle montagne alla ricerca di cibo e per ritrovare il figlio rapito del loro re Leonzio. Attaccati dalle truppe del crudele Granduca, riusciranno dopo molte peripezie a conquistare la città e a trovare il piccolo orso. Ma il contatto con gli uomini, con una vita comoda, viziosa e corrotta, li porterà a diventare come loro, snaturandosi e perdendo quella purezza d’animo che potranno ritrovare soltanto tornando al mondo cui appartengono. «Tornate alle montagne», li ammonisce il re alla fine della favola. «Lasciate questa città dove avete trovato ricchezza, ma non la pace dell’animo. Toglietevi di dosso quei ridicoli vestiti. Buttate via l’oro. Gettate i cannoni, i fucili e tutte le diavolerie che gli uomini vi hanno insegnato. Tornate quelli che eravate prima».
Buzzati aveva cominciato a disegnare «L’invasione» per gioco, per intrattenere le nipoti quando il mercoledì andavano a mangiare da lui. Poi se ne era dimenticato. Finché, sollecitato da Emilio Radius a scrivere una storia per bambini da pubblicare sul Corriere dei Piccoli, non la riprese in mano e le diede forma. «Scrivere per i bambini è molto più difficile che scrivere per i grandi, i quali più o meno si sa come la pensano», avrebbe raccontato anni dopo. «Mi parve che gli orsi fossero una buona idea. E mi misi a fare il primo disegno, che era appunto la grande battaglia tra gli orsi scesi dalle montagne e l’esercito del granduca. Scrivere la storia, relativamente, fu il meno».
La fiaba, che all’inizio degli anni Sessanta si trasformerà in uno spettacolo di marionette firmato Gianni Colla, apparve a puntate nei mesi caldi e drammatici del 1945, divisa in due storie «La famosa invasione degli orsi» e «Vecchi orsi addio!», ma fu interrotta dopo la Liberazione, quando il Corrierino, come anche il Corriere, sospese le pubblicazioni. Uscì in volume, rivista, corretta e rielaborata in un’unica storia (meno cupa), alla fine dello stesso anno, destando persino l’attenzione della rivista Life che la definì «una meravigliosa lettura per tutte le età». Una lezione morale consegnata alle nuove generazioni, un apologo, un messaggio di pace che rimane vivo e attuale anche a distanza di oltre settant’anni, e che nei prossimi mesi tornerà in libreria in una nuova edizione Mondadori, prima di trasformarsi in un lungometraggio animato, ancora in lavorazione, firmato da Lorenzo Mattotti.
Ma perché proprio gli orsi? Dino Buzzati non lo spiega, attribuendo la scelta a una pura casualità. In realtà l’autore bellunese era sempre stato sensibile al tema, scrivendo diversi articoli a sostegno della loro salvaguardia (soprattutto quella dell’orso alpino), già minacciata a fine anni Quaranta. «Ma che importa – dirà qualcuno – se l’orso scomparisse dalle Alpi?», scriveva sul Corriere della Sera nel 1948. «È un po’ come chiedere perché sarebbe un guaio se il Cenacolo di Leonardo andasse in polvere. Sarebbe un incanto spezzato senza rimedio, una nuova sconfitta della già mortificatissima natura; perché quanto più si estende sulla terra vergine il dominio dell’uomo, tanto più diminuiscono le sue possibilità di salvezza, e a un certo punto egli si troverà prigioniero di se stesso, gli verrà meno il respiro e per un angolo di autentico bosco sarà disposto a dar via tutte le sue diaboliche città, ma sarà troppo tardi, delle antiche foreste non rimarrà più una fogliolina».
Chissà: se Dino Buzzati fosse qui oggi, forse, grazie alla sua confidenza e dimestichezza con il mistero troverebbe il modo di parlare con gli orsi – come si dice facesse con gli ospiti dello zoo sotto casa – per dissuaderli dall’intenzione di mischiarsi agli uomini. Per dire loro di non fidarsi e restare sulle montagne; di non fare lo stesso errore dei suoi plantigradi siciliani. Perché, come dimostra la fine dell’orsa KJ2, gli uomini sanno anche essere più pericolosi degli animali più pericolosi, soprattutto quando obbediscono armati a ordini e ordinanze. Di certo interpreterebbe questa invasione estiva non come uno sconfinamento per fame o curiosità né come una voglia irrazionale di scoprire il mondo degli uomini, ma come un avvertimento, un richiamo all’ordine, un segnale che sarebbe da incoscienti e irresponsabili ignorare.