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 2017  agosto 14 Lunedì calendario

Hollywood trema, i blockbuster deludono e gli spettatori calano

È un’estate molto “fredda” per i cinematografi d’oltre- Atlantico. A differenza di altri paesi, dove le città si spopolano, negli Stati Uniti il periodo tra fine maggio e agosto è sempre stato “prime season”, una stagione-chiave per il numero di biglietti, gli incassi di botteghino e i bilanci delle società che gestiscono le sale. Ma questa volta l’inaspettato tradimento degli spettatori, con una flessione del 5 per cento rispetto agli stessi mesi dell’anno scorso, ha sconvolto le previsioni e soprattutto ha aggravato le inquietudini su un mercato del cinema in profonda trasformazione, per effetto della concorrenza dello streaming e di produzioni televisive sempre più ambiziose. Dietro al crollo estivo di affluenza nelle sale, secondo il Wall Street Journal, c’è innanzitutto la delusione per quasi tutte le grandi produzioni di Hollywood, dal quinto sequel di Pirati dei Caraibi a La torre nera, il film diretto da Nikolaj Arcel e tratto dall’omonima saga di Stephen King: un mix di fantascienza, horror e western che, bersagliato dai critici, ha visto un calo del 70 per cento del numero di spettatori dopo appena due settimane. Magri risultati, a dispetto delle costose campagne di marketing, anche per Transformers, L’ultimo cavaliere diretto da Michael Bay, per La mummia di Alex Kurtzman con Tom Cruise e Russell Crowe e per The War. Il pianeta delle scimmie. E con una produzione costata quasi 175 milioni di dollari, King Arthur. Il potere della spada ne ha incassati per ora solo 39. «L’ultimo trimestre è stato un disastro», ammette Adam Aron, chief executive della Amc Entertainment holding, la più grande catena di multisale (660 nel mondo, compresa l’Italia, e in tutto 8.293 schermi). Aron e i suoi colleghi degli altri maggiori gruppi puntavano a mantenere gli ottimi risultati dell’estate 2016 ed erano incoraggiati dai primi mesi di quest’anno, che hanno fatto un segnare un record storico di incassi. Invece è arrivata una brutta sorpresa. La diminuzione del 2,9 per cento dei ricavi trimestrali ha avuto contraccolpi sui bilanci e sulle quotazioni a Wall street. Così la Amc ha dovuto annunciare una perdita nell’esercizio trimestrale e, da marzo a oggi, il suo titolo si è dimezzato in borsa, anche per le pressioni esercitate dal governo di Pechino sul gruppo cinese che la controlla, il Dalian Wanda. La numero due delle catene americane, la Regal Entertainment (561 sale), ha visto una flessione degli utili del 30 per cento in tre mesi, mentre la numero tre, la Cinemark, ha contenuto le perdite al 5 per cento. Ma il vero problema per tutte e tre, come per il resto dell’industria hollywoodiana, riguarda il futuro. Il timore? Che questa estate segni l’inizio di una inversione di rotta nelle abitudini degli americani e nella configurazione del mondo dello spettacolo. Gli studios, ad esempio, premono per accorciare i tempi tra l’uscita dei film sul grande schermo e la distribuzione in streaming: adesso passano alcuni mesi, mentre si ipotizza che possa accadere dopo appena poche settimane, magari attraverso i nascenti servizi a pagamento di Povd (Premium video on demand). C’è poi l’esplosione dello streaming, che attrae sempre più i giovani e porta a cambiamenti profondi, come si intuisce dalla decisione della Walt Disney di disdire il patto con Hbo e avviare un business autonomo di distribuzione via internet di film, puntando soprattutto all’audience delle famiglie. Intanto Netflix e Amazon moltiplicano gli investimenti su nuove produzioni. Di fronte a tante brutte notizie, le speranze degli executives americani si concentrano sui nuovi film che usciranno alla fine dell’anno, come l’ultima puntata di Star Wars a metà dicembre. «Sarà un regalo dal cielo», sospira Aron, pensando al suo bilancio annuale. Ma sarà una magra consolazione, avvertono i guru di Hollywood: e, nella migliore delle ipotesi, un palliativo di breve termine.