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 2017  agosto 14 Lunedì calendario

Droga, milioni e 132 omicidi. Caccia al super narcos in Italia

Devoto di Padre Pio e amico di preti che assistono i profughi, il 54enne Domenico Antonio Mancusi Hoyos, uno dei maggiori narcos del mondo, ha ucciso 132 persone ed è un uomo libero. Oggi, forse, è anche un fantasma. Arrestato nel 2014 dalla Guardia di Finanza a Imperia – corpulento, maglietta bianca, jeans, occhiali da sole e un lungo crocifisso al collo —, era stato rimesso in libertà dai giudici perché non poteva essere estradato: ha doppia cittadinanza colombiana e italiana. In Sudamerica, Mancusi Hoyos è salito ai vertici dei paramilitari delle Auc (Autodifese unite della Colombia): assalti a villaggi, bombe nei centri commerciali, esecuzioni di politici e procuratori; da noi era arrivato per sfuggire al mandato di cattura internazionale. Una mossa voluta per giocare sulla burocrazia e sperare di «aggirare» la giustizia. Ce l’aveva fatta. Ma adesso la Colombia, che l’ha «conservato» in cima all’elenco dei grandi latitanti e lo vuole più d’ogni altro, chiederà di nuovo l’estradizione. Sulla base di recenti accordi bilaterali firmati con l’Italia. Fonti investigative colombiane hanno riferito al Corriere della volontà di «riprendersi» Mancusi Hoyos, con i passaggi ufficiali che seguiranno le dichiarazioni di intenti. L’occasione è stata fornita dall’ottenimento in settimana dell’estradizione di «El Ruso», catturato ad aprile a Civitavecchia, sempre dalla Finanza, e braccio destro di quell’«Otoniel», capo dei traffici di droga, trincerato nelle foreste sudamericane con migliaia di guerriglieri a sua difesa e inseguito da una taglia di cinque milioni di dollari. L’arrivo di «El Ruso» è stato un colpo importante per il governo di Bogotà, impegnato sul doppio binario del contrasto alla cocaina – anche per allontanare la nomea di nazione canaglia dai tempi di Pablo Escobar – e nella lotta alla corruzione fra le forze dell’ordine e i magistrati. Già incarcerato in Colombia, «El Ruso» era stato messo ai domiciliari, dai quali era evaso, perché «malato di cancro». Invece stava e sta benissimo. Come, probabilmente, Mancusi Hoyos. O meglio, le informazioni sulle sue condizioni saranno successive a quelle logistiche. In queste ore gli investigatori rimetteranno in moto le ricerche, per capire dove stia.
Non può, in teoria, mettere piede fuori dai confini italiani, proprio in virtù del mandato di cattura internazionale ancora «aperto». Frequenti erano state le sue visite a Montecarlo, per trattare l’acquisto di proprietà immobiliari e godersi, nel lusso, la quantità infinita di denaro guadagnato con una vita da killer e con i quintali di cocaina fatti sbarcare in Europa. Il tutto di nascosto, dietro quell’immagine di sé anonima, forse perfino da povero, con la quotidianità in una modesta abitazione di Imperia, e l’assidua frequentazione di chiese per pregare, al fianco dei sacerdoti degli «ultimi».
I report della polizia colombiana raccontano il «percorso» di Mancusi Hoyos. Da ragazzino aiutò gli allevatori di bestiame nelle terre del Dipartimento di Cordoba, vicino alla Bolivia. La fatica e gli stipendi miseri lo portarono ad andarsene. Scelse il Cile, studiò all’università e si specializzò nella Scuola navale e nell’Esercito di Pinochet. Tornato in Colombia, entrò nelle Auc, nate come formazione d’insurrezione ma presto trasformatesi in squadroni della morte. Divenne mandante ed esecutore di delitti. Nel nome della famiglia. C’è infatti una leggera differenza data dalla lettera finale, la «i» al posto della «o», ma è solo un difetto dell’anagrafe. Mancusi Hoyos è cugino di Salvatore Mancuso «El mono», il signore della cocaina coinvolto in molte inchieste per aver diretto il traffico di droga con la ’ndrangheta, catturato ed estradato nel 2008 negli Usa dove ha collaborato con la Dea chiedendo in cambio una specie di immunità per i figli e altri parenti. Fu proprio Mancusi Hoyos a ereditare il potere e il ruolo di «El Mono», che era stato il numero due delle Auc e il cui padre era nato a Sapri, in provincia di Salerno.