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 2017  agosto 14 Lunedì calendario

Il Nobel Amartya Sen: «Ricordo quell’uomo ucciso davanti a casa». Intervista

«Ricordo bene quella notte. Ero molto triste. Non avevo ancora compiuto 14 anni, stavo dai miei nonni a Santiniketan, una tranquilla cittadina universitaria bengalese, che rimase tale anche quella notte». Eppure il ragazzino Amartya Sen, Nobel per l’Economia nel 1998, sapeva quello che stava succedendo altrove. Gli scontri tra induisti e musulmani erano iniziati prima di quel Ferragosto del 1947. Nel 1944, quando viveva ancora a Dacca, città d’origine della sua famiglia, si era imbattuto in un bracciante musulmano sanguinante, davanti al cancello di casa: Kader Mia era stato accoltellato mentre si recava in una zona di scontri etnici perché aveva bisogno di lavorare. Questo incontro lo ha segnato e ha ispirato le sue ricerche di economista e filosofo dell’identità plurale, ha scritto nel saggio Identità e Violenza. Quella notte di 70 anni fa, il giovane Sen la immaginò popolata da tanti Kader Mia, fuori da Santiniketan.«Andavo a scuola lì, dove mio nonno insegnava sanscrito, mentre i miei genitori vivevano nella più caotica Calcutta, a un centinaio di chilometri di distanza» racconta Sen al Corriere. «L’anno prima avevamo lasciato tutti la nostra città, Dacca (nel Bangladesh che faceva ancora parte dell’India, ndr): l’università dove insegnava mio padre era stata chiusa per via degli scontri tra induisti e musulmani. Ma disordini e violenze erano iniziati prima: la politica della partizione era già in atto dall’inizio degli anni 40».
Cosa ricorda di allora?
«Furono anni di grande dolore, la mia famiglia – induista sulla carta ma di fatto laica – era per un Bengala unito e per un’India unita. Fino alla fine degli anni 30 si viveva in pace, poi l’identità religiosa divenne dominante rispetto a quella bengalese, incentrata sulla condivisione della stessa lingua e della stessa cultura. E improvvisamente il Paese (poi diviso in Bengala Occidentale, all’India, e Bengala Orientale, al Pakistan ndr) piombò nel caos con musulmani che uccidevano indù e indù che linciavano musulmani. La propaganda da entrambe le parti faceva coincidere l’identità con la religione».
Si è sentito in pericolo?
«La nostra famiglia viveva in un quartiere borghese, al riparo dalle violenze che invece hanno colpito per lo più i poveri, sia musulmani sia indù. Vittime di fede diversa ma accumunate da una vita priva di protezioni. Ricordo però mia madre in pensiero per mio padre che prima della partizione tornava regolarmente a Dacca per salvare vite umane: andava nelle zone degli scontri per soccorrere gli induisti nelle aree musulmane e i musulmani nei quartieri induisti».
Che ruolo hanno avuto i colonizzatori britannici in queste divisioni?
«Nei loro 200 anni di dominio, hanno fatto molto per creare divisioni religiose. Quando hanno tentato di correre ai ripari era tardi. Ma il “divide et impera” non l’hanno inventato loro. Sarebbe stupido arrabbiarsi per questo oggi».
Oggi la democrazia tollerante nata in India dopo i massacri della partizione sembra in pericolo. È stato anche censurato un film sulla sua vita: al regista è stato chiesto di tagliare gli interventi dove lei parla di mucche, indù e Gujarat.
«È triste per me vedere l’ideologia “hindutva” così politicamente dominante in India oggi. Non c’è nulla di sbagliato nell’affermare la propria identità religiosa nell’ambito della fede, ma considerare l’induismo come l’unica identità nazionale, dal punto di vista etico, culturale e politico, va contro la Costituzione. Per esempio è contrario al principio fondante dell’India dare la caccia e assalire chi consuma carne bovina (come accaduto di recente). Nel documentario ho ricordato il massacro dei musulmani del 2002, in Gujarat, all’epoca governato da Modi. Ho parlato anche del diritto a non essere d’accordo. Ed è intervenuta la censura. L’India è nata come democrazia secolare e pluralistica ma questi valori sembrano oggi indeboliti, mentre il Bangladesh è andato nella direzione opposta, con Stato e cittadini impegnati a salvaguardare il secolarismo contro il terrorismo islamico e la violenza settaria».