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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Lo scrittore Thiong’o: «La gente ha votato pacificamente. È la politica a fomentare la rabbia»

«Negli ultimi 15 anni il Kenya è passato da una feroce dittatura a una democrazia ampia, seppur ancora non radicata in tutti gli strati della popolazione». Lo scrittore kenyota Ngugi wa Thiong’o, uno dei principali autori della letteratura africana post-coloniale, commenta le turbolente elezioni presidenziali nel suo Paese d’origine. «Le violenze per strada? È la politica a fomentarle. La gente, così come nel 2007 (quando 1200 persone erano morte negli scontri post elettorali, ndr), ha votato pacificamente e non è intenzionata ad aizzare schermaglie tra le principali etnie», spiega il poeta kenyota al telefono da Irvine (California), dove insegna all’università letteratura comparata.
Nelle pagine di «Un chicco di grano», pubblicato in Italia da Jaca Book, Ngugi wa Thiong’o ha raccontato lo smarrimento del Kenya post-coloniale e criticato la dittatura di Daniel arap Moi, alla guida del Paese dal 1978 al 2002. Un’opera che ha portato all’arresto dello scrittore, costretto a scrivere dalla sua cella su rotoli di carta igienica. Dopo esser stato rilasciato ed essere scampato a numerosi tentativi di omicidio, è fuggito in esilio prima nel Regno Unito e poi negli Usa, da dove continua a pensare che il Kenya e l’Africa siano ancora «vittime delle grandi potenze esterne».
Si spieghi meglio, professore.
«Bisogna smettere di regalare le nostre risorse, che sia all’Europa o alla Cina non fa differenza. Siamo il continente più ricco del mondo con la popolazione più povera, un trend che va invertito stabilendo relazioni di equo scambio con i Paesi esteri, ma la gestione delle risorse deve rimanere nelle mani degli africani. Oro, diamanti, rame, petrolio: tutte materie prime in grado di cambiare la vita di milioni di persone».
Qual è il problema più immediato da risolvere?
«In Kenya e in tutta l’Africa il divario tra ricchi e poveri sta aumentando. Ogni volta che viene costruito un grattacielo, sorgono dieci baracche sulle strade. Qualsiasi società che cresce a due misure è destinata a fallire. Quando abitavo in Kenya ero certo che in futuro avrei vissuto in una società più equa, ma mi sono sbagliato. Finché non si risolverà il tema della disuguaglianza sarà difficile parlare di prosperità in Africa».
È per questo che i giovani africani fuggono in Europa?
«Gli europei non si devono dimenticare che hanno la colpa per il fallimento di molti Stati africani, sono le conseguenze della brutale colonizzazione. L’unico modo per trattenere i giovani è evitare che le risorse dei nostri Paesi escano dall’Africa, altrimenti seguiranno il flusso. Tocca ai leader politici africani fare industria e creare opportunità. La tecnologia può essere la svolta. Così i ragazzi capiranno che per stare in paradiso non c’è bisogno di attraversare il Mediterraneo».
A proposto di politici africani, molti guidano i loro Paesi da oltre 30 anni, non servirebbe maggiore alternanza?
«Succede in tutto il mondo, non solo in Africa. Pensiamo alla Regina Elisabetta (scherza e ride, ndr). La popolazione deve avere la possibilità di scegliere i propri leader. Il potere viene dalla gente e non il contrario. La politica deve capire che si deve mettere a servizio della comunità. L’unico modo per evitare spargimento di sangue è rispettare i termini costituzionali, anche se spesso non avviene e questa dinamica è molto negativa».
Alcuni dei giovani per disperazione si affiliano a gruppi terroristi. Uno di questi, Al Shabaab, è molto attivo in Kenya. Come si può fermare la minaccia?
«Il fondamentalismo parte da un principio anti-religioso perché non si può affermare che il dio in cui credi è superiore a un’altra divinità. Il rovescio della medaglia è il capitalismo che ha portato a un impoverimento globale e a una scarsa redistribuzione delle ricchezze ed è, quindi, in una certa forma complice dell’esplosione dell’estremismo religioso. Credo che questo processo in Africa sia particolarmente accentuato».
Trump non sembra molto sensibile ai problemi legati al cambiamento climatico, che in Africa sta spingendo alla fuga milioni di persone.
«Chi inquina in Africa, così come in altre parti del mondo, dovrebbe essere punito per crimini contro l’umanità. Viviamo tutti nello stesso pianeta, l’aria che respiro e l’acqua che bevo sono parte di me più delle mie braccia e delle mie gambe. Anche in questo caso il profitto la fa da padrone e detta le regole del nostro vivere».