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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Scrivere l’amore

All’inizio erano uomini e donne che volevano raccontare la loro storia, oggi chiedono consigli e soluzioni. Così sono cambiate, in 25 anni, le lettere inviate a “Questioni di cuore”: autoritratto sentimentale dell’Italia che si rivolge alle rubriche di giornali e tv. E inonda di posta anche Giulietta a Verona...
Perché lui non scrive a lei ( o a lui), perché lei non scrive a lui ( o a lei)? Perché scrivono a me o a tutta la schiera – in carta o web o Tv o radio – di incolpevoli guru del tutto impreparati, su cui grava il pesantissimo e assurdo compito di leggere, decifrare, e poi consigliare, sgridare, aiutare, talvolta a casaccio, persone che, se fragili, magari si affidano sul serio alla banalità o bizzarria o ironia dell’insipiente sapientone dell’amore: ritenendolo poi responsabile di eventuali risultati disastrosi. Non si vorrebbe insomma fare la fine cruenta di Miss Lonelyhearts, un angosciato e solitario giornalista maschio, che su un quotidiano risponde ogni giorno a lettere firmate Disperata, Stufa Marcia di Tutto, Delusa con Marito Tisico: in uno dei più bei romanzi americani degli anni 30, Signorina Cuorinfranti di Nathanael West. Non so per quale ragione Il Venerdì decise, 25 anni fa, di affidarmi una nuova rubrica settimanale, appunto “Questioni di cuore”: la mia vita non era un romanzo, non pullulava di Principi Azzurri ( purtroppo tuttora richiesti, anche se detti semplicemente Principi); in più ero perplessa perché io adoravo la cronaca nera e giudiziaria, e perché l’idea di curare quel ricettacolo che immaginavo soprattutto lacrimoso, mi faceva venire in mente la contessa Lady Eva, all’anagrafe Filumena Cangiullo, la meravigliosa Franca Valeri del film Piccola Posta di Steno, 1955. Fui rimproverata dai colleghi per essermi abbassata a un settore da settimanale femminile: l’amore, i sentimenti, niente a che fare col giornalismo, oasi fino a qualche tempo prima solo virile, in cui contro ogni logica si stava sempre più inserendo una pericolosa folla di femmine. Io pensavo intanto al collega anziano che soffriva di corna inarrestabili, al nuovo assunto che si fidanzava con una fanciulla innocente per nascondere la sua omosessualità, all’inviato celebre che si era fatto colleghe e segretarie, poi in lacrime sulle loro scrivanie. Zitti tutti, anche tra loro, i maschi privilegiati, perché almeno allora, gli uomini erano ancora certi della loro superiorità maschia, che non prevedeva sconfitte d’amore. Questioni di cuore, un gineceo, solo le femmine potevano soffrire e chiedere aiuto. Sorpresa: le prime lettere a firma femminile chiedevano come rivelare al caro marito di una vita, che dopo vent’anni di passione clandestina con un collega o capufficio, avevano deciso di andare a vivere insieme. E poi poco a poco le prime lettere a firma maschile, più arrabbiate che dolenti, contro signore cinquantenni, cioè creature vecchissime, che “a causa del femminismo”, li spernacchiavano, rifiutando il paradiso immeritato dei loro palpeggiamenti. Nei primi mesi del mio arrancare tra lettere inviate per posta ( che continuano ancora, scritte a mano) e poi soprattutto via mail, fui inondata da missive con scritture storte o microscopiche, di giovanotti che raccontavano di aver posseduto la mamma ( la nonna, la zia, il babbo, la sorellina, il fattorino), vuoi sotto la doccia che in cantina, raccontandone i particolari più patibolari. Non ne ho mai pubblicata una e dopo un po’ gli sporcaccioni visionari hanno smesso di scrivere. Ma intanto cominciavano ad accumularsi, timidamente, le lettere dei gay, più maschi che femmine, che rivelavano la loro vita difficile, l’ostilità del padre, gli scherni del paese, gli amori clandestini. Ogni tanto una lettera mi ringraziava, molte mi insultavano perché promuovevo Sodoma e Gomorra, non rimettendo sulla retta via la folla di peccatori, per non parlare delle peccatrici, che si rivelavano tali spavaldamente, e molti coniugi senza pensieri, leggendo casualmente quella malefica posta, cadevano dalle nuvole, improvvisamente inquieti, chiedendosi, forse anche quel ciabattone di mio marito, forse anche la mia signora così musona? Impossibile! Infatti persino i miei colleghi, oltre a una folla di conoscenti o sconosciuti curiosi, erano certi che le lettere me le inventassi io ( migliaia, sarei stata una fortunata autrice, per signore naturalmente): o che per lo meno le riscrivessi in un buon italiano: perché si sa, le lettere di lettori con quesiti fondamentali sui partiti dovevano essere colte, mentre quelle dedicate al cuore non potevano pervenire che da ignorantoni. E pazienza se chi confidava le sue trame e fregature d’amore era comunque un lettore di Repubblica, quindi una persona informata, che nei suoi rancori e nei suoi strazi, ogni tanto citava filosofi o testi greci a me del tutto sconosciuti, e dovevo cercare di sapere se esistevano davvero o se erano una trappola per incastrare la mia ignoranza. Fui sgridata moltissimo da Aldo Busi, scrittore da me amato e di cui era impossibile schivare gli insulti più sapienti, che denunciava il mio delitto di inventarmi tutto: una rubrica del cuore l’aveva anche lui, ma la differenza, a parte il suo genio, era il giornale giovanilistico su cui appariva, e quindi con quesiti e risposte molto più rock. Ricordo le prime rubriche del cuore, rigorosamente su settimanali femminili, che leggevo avidamente: unico maschio Scerbanenco elegantemente moralista, l’arditissima Gasperini, sulle cui risposte lessi per la prima volta la parola aborto, mai comparsa sugli altezzosi quotidiani, naturalmente per sconsigliarlo, la divina Contessa Clara, subissata dall’interrogativo allora più diffuso e fatale: darla o non darla? Sempre rispondeva altera, «Non ceda, non ceda». Ma quando sul Venerdì cominciò “Questioni di cuore” chi scriveva era più preparato, più conscio, più libero: infatti non chiedevano consigli, soluzioni, decisioni: ma avevano solo voglia di raccontare soprattutto a se stessi una frattura, un timore, una gioia, una perdita, della loro vita: e per dividere con me, una estranea poco consolatoria anche se attenta, ciò di cui non si poteva parlare con un amico, una madre, la stessa persona implicata nel problema. In 25 anni il mondo è cambiato sino a stravolgersi, la nostra vita è cambiata impaurendoci, il sesso è diventato una distrazione che ci si procura con un clic, l’omosessualità ha conquistato i diritti civili, si sono moltiplicate le propensioni sessuali, anche l’asessualità oggi ha i suoi diritti, i suoi club e i suoi siti. Solo i sentimenti non sono cambiati ( eterni, semmai, nella libertà, sempre più tempestosi e senza rassegnazione): la sofferenza d’amore, l’abbandono, la solitudine, il tradimento, la paura di invecchiare, l’indifferenza sessuale, l’accumulo o l’assenza di esperienze erotiche, la famiglia, la genitorialità, i rancori, la violenza domestica, i divorzi, la famiglia allargata; le donne che si sono conquistate il diritto alle scelte e all’autonomia sentimentale, gli uomini che non riescono a farsene una ragione e vendicano la superiorità perduta; la noia. Negli anni le lettere hanno raccontato altre storie, documentando non un mutare dei sentimenti, ma il diverso modo di volerli vivere. Se la cronaca ci racconta le tragedie molto contemporanee della gelosia, le lettere sono passate, soprattutto da parte delle donne, dal senso di colpa del tradimento alla sua funzione di farmaco della vita coniugale, gli uomini non nascondono più la fede nuziale e vivono grandi amori amando la famiglia, le amanti continuano ad accettare il loro ruolo secondario ma non sempre illusorio, e si svegliano solo quando lui taglia, non tanto per devozione alla sua sposa quanto per un’altra signora. Gli uomini soli, in età cercano sempre meno la famosa signorina giovane e bella sui tanti siti disponibili ( il più frequentato però pare essere quello per coniugate in cerca di avventure veloci) ma sognano una coetanea con cui andare a vivere: le coetanee dai cinquanta in su continuano a cercare un simpatico signore con cui vedersi ogni tanto ma di convivenze non ne vogliono più sapere, uno o più uomini in casa sono bastati per renderle decise a non rifare l’esperienza. Non è da tanto che finalmente le donne si sono decise a scrivermi per denunciare la violenza del compagno anche davanti ai figli, la paura e le difficoltà a trovare una via d’uscita, un aiuto tempestivo sia dalla famiglia che dagli amici che talvolta dalle forze dell’ordine. é nuovo il lamento, stupefatto ma per fortuna non cruento, di uomini sperduti nel cambiamento inarrestabile delle donne: magari dopo trent’anni di matrimonio sereno, una mattina la signora si alza e dice, basta, me ne vado. Lui incredulo, ma cosa è successo? Appunto nulla, mi annoio. L’annuncio può avvenire anche via sms mentre lui è in ufficio. Può darsi che certi rapporti, come mi assicurano gli esperti della fine del mondo, nascano e finiscano con un tweet, ma mi chiedo: se scrivono a me lettere, a migliaia, così belle, in un italiano leggiadro e colto, sapendo esprimere così bene situazioni e pensieri, perché non dovrebbero farlo i protagonisti delle storie tra loro, perché si teme che il tempo degli epistolari sia finito? Non ci credo; si continueranno a scrivere parole come quelle di Simone de Beauvoir a Nelson Algren (“Sembrate tanto lontano, ma io vi amo da lontano come da vicino”) o di Dumas figlio a Marie Duplessis (“Non sono abbastanza ricco per potervi amare come vorrei, né abbastanza povero per essere amato come vorreste voi”). E altrimenti ci consoleremo con Lettere dal mio gatto appena pubblicato da La Vita Felice, in inglese e italiano, scritto a metà del XIX secolo dall’americana Helen Hunt Jackson: «Mia cara Helen, quanti bei pisolini ho fatto sul tuo grembo…». ?