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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Una vita da Sam Shepard

Per cinquant’anni lo scrittore e attore da poco scomparso ha raccontato al suo amico Johnny Dark tutto quello gli succedeva: amori, incontri, film. Un epistolario che è una lunga, intensa autobiografia In questa lettera ricorda la sua battaglia per smettere di bere. Vittoriosa.
Testo di
Sam Shepard
John, mi ritrovo con una sfarzosa abbondanza di macchine per scrivere, e passo da una all’altra. Questa è la piccola Hermes portatile, molto leggera e scorrevole ma tende a scivolare sulla scrivania più della Voss. Da un paio di giorni le giornate sono imperscrutabili e nebbiose visto che ci sono quasi dieci gradi. Io e Jessica ci alziamo presto, col buio, per preparare il pranzo dei bambini, preparargli la colazione, poi io li porto a scuola, poi torno a casa e Jessie prepara delle uova alla coque, leggiamo la posta, ascoltiamo il canarino che cinguetta, beviamo il caffè, a volte andiamo in centro a fare colazione, ma per lo più ce ne stiamo a casa. Tra poco è il nostro diciassettesimo anniversario. Incredibile sia passato così tanto tempo ma eccoci, ancora insieme e molto più tolleranti delle nostre differenze. Ancora innamorati e piuttosto stupiti di essere riusciti a crescere dei figli, conservare una famiglia, avere due carriere separate che ci fanno viaggiare in tutto il mondo ed essere ancora insieme!
Ti sono vicino nella tua lotta con la droga, ma non so che dire. Non sono neanche sicuro tu la consideri una lotta. Per me alla fine si è ridotto a un enorme crollo emotivo in cui sapevo che dovevo cambiare radicalmente qualcosa dentro di me per non subire conseguenze terribili. Sono andato molto vicino a distruggere quasi tutto quel che contava per me: il mio rapporto con Jessica e soprattutto con i miei figli. Non riuscivo a credere di quanta autodistruzione fossi capace, mi ero isolato e allontanato da tutti, e ho pensato che forse valeva la pena prendere in considerazione questa faccenda dell’alcolismo e vedere se davvero si applicava a me. Non credevo ancora di essere un alcolizzato quando sono andato alle riunioni per la seconda volta a New York. Ho continuato a bere per la prima settimana di riunioni e poi, piano piano, qualcosa ha cominciato a piegarsi. Immagino sia stato soprattutto il mio orgoglio. Ho fatto fatica a vedermi nella stessa identica situazione di mio padre, malgrado avessi giurato a me stesso che mai sarei stato come lui. Per certi versi la decisione di smettere di bere è stata la parte più facile: certo, c’è un periodo di circa tre mesi in cui il corpo deve disintossicarsi e liberarsi di tutto il veleno accumulato e in quella fase hai spesso una voglia matta di bere e tanta autocommiserazione, ma poi il “bisogno” di bere passa fisicamente e inizia la parte psicologica. Quella per me è la parte più tosta perché ha a che fare con la solitudine e l’incapacità di avere relazioni semplici con gli altri. È il motivo stesso per cui ho iniziato a bere – il bar, la “Vita Notturna”, l’emozione di incontrare donne sconosciute, l’“Avventura” – tutta l’idea che là fuori c’è qualcosa che mi sto perdendo e che bere era la chiave d’accesso a quel mondo. Il finto coraggio che mi dava il bere mi permetteva di abbandonarmi a qualsiasi idiozia senza mai pensare che avrei dovuto pagarne le conseguenze. E poi, il “fascino” della bottiglia: ero uno scrittore avevo la licenza di bere. Tutti gli scrittori bevono, anche i grandi. Io ero un “tipo tosto”. Potevo reggere. Non me ne importava un cazzo di quel che pensavano gli altri e non me ne importava un cazzo di quel che facevo agli altri in termini di abuso e negazione. Non dovevo rispondere a nessuno! Mi meraviglia essere sopravvissuto: momenti di buio totale mentre guidavo a centoquaranta all’ora, buttarmi a dormire nei fossi, cazzottate con dei marines, postumi di sbornia che duravano metà giornata e passavano solo con altro alcol, donne estranee che avrebbero potuto avere di tutto, partite a biliardo fino all’alba con dei tipi che sembravano mafiosi italiani in cui ho perso centinaia di dollari, bruttissime litigate con le persone che amavo, attacchi di tremore, vomitare, cacarmi nei pantaloni per strada... Divertente, vero? Visto da fuori uno poteva dire che, certo, era giunto il momento di prendere il controllo della situazione, ma io non mi sono accorto di niente. Credevo che il mondo fosse uno schifo e che io stavo reagendo come una sorta di eroe clandestino. Comunque, tutto questo per dire che so che io e te siamo piuttosto simili per quanto riguarda i nostri problemi ad andare d’accordo con gli altri, questa storia dell’isolamento. (…) So che ci sono stati periodi in cui avrei fatto di tutto per liberarmi da questa sensazione di essere totalmente escluso. Ma siamo entrambi fortunati ad aver trovato in questa vita donne straordinarie; abbiamo incontrato un vero sapere esoterico e siamo stati così fortunati da conoscere Pentland; ci divertiamo ancora a mettere insieme parole e creare immagini e sentiamo l’importanza di tentare di annotare qualcosa della nostra esperienza nel corso del tempo e sempre più spesso tutte queste fortune sembrano prevalere sulle temporanee trance di me sbronzo, che esagero, vedendomi come un tipo affascinante. Non penso più molto al bere, ma quando ero su a Vancouver a fare il film e fuori a cena tutte le sere con attori e gente del cinema – Sean Penn, Nicholson ecc. – e tutti bevevano e raccontavano storie e facevano casino, ho pensato, mi è passato per la mente il “pensiero” di quanto sarebbe stato semplice ordinare un bicchierino di bourbon liscio, buttarlo giù e avvertire la calda luce della sicurezza, lo stordimento, di nuovo la stupida arroganza e spassarmela alla grande, lanciando occhiate lascive alle ragazze, raccontando balle e sparando qualsiasi cazzata, ma poi è intervenuto qualcosa che sapeva che se l’avessi fatto mi sarei ritrovato per un bel po’ sulla strada perduta. Non dico che ora sono sulla strada “ritrovata”, ma riconosco un vicolo cieco da una superstrada. La differenza è chiara. Non bevo più da tre anni, ma c’è sempre il rischio che il maniaco salti su e decida di “bere qualcosina”. E sarei di nuovo lì, al punto di partenza. L’altro giorno guardavo gli aforismi alla fine di e mi sono fermato su questo: “Se già sai che è male e lo fai ugualmente, commetti un peccato cui è difficile rimediare.” Certo, parole come “male” e “peccato” non ci tornano più molto, ma in qualche modo sappiamo benissimo di cosa sta parlando e cominciamo persino ad avere il sentore di un inizio di coscienza: “ehi, parla di me!” (…) Que via bien!
Sam 24 febbraio 2000