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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Malinconico Bolt, battuto da un crampo

È una notte da caduta degli dei. È un affronto, un ko, un’abdicazione. God non salva i re. Un ultimo spettacolo senza magia. Nessuno si aspettava tanto dolore: Bolt a terra, con le mani sugli occhi, che non vuole vedere la propria fine. Non questa, non così. Non da uomo disarmato, senza più velocità, non con la sua 4x100 fuori dai giochi e lui sofferente a terra. Il vero Bolt non urla per il male, il Superman dei 100 metri non si fa fermare da un crampo al quadricipite, il vero Bolt scherza e sorride. Allora perché non si alza? E Mo Farah, perché dopo i 5 mila, anche lui è sdraiato sulla pista, deluso e sconfitto, con la moglie che piange? Il re dello sprint e il re della lunga distanza, affondano nella stessa sera e nello stesso stadio. Quello del loro trionfo olimpico. Sono due miti sfiniti e stremati. Mo non perdeva dal 2011, parla per tutti e due: «Non ne avevo più». Ma, anche se braccato, vince l’argento. Bolt invece non vince niente. Se ne va con un bronzo, che per lui non è nemmeno un premio di consolazione. Soprattutto se ne va zoppicando, a piedi nudi, con una smorfia in faccia. Rifiutando la carrozzella. Ci mancava solo quella: essere portato fuori da vecchio infortunato. A 31 anni è stato trafitto da un crampo, si è fermato, si è buttato a terra. Il dio della corsa azzoppato e sconfitto negli ultimi metri di quei 100 di cui ha il record mondiale. Alla sua ultima volta. Tutti aspettavano il riscatto, una frazione di staffetta formidabile, nel rettilineo dove si scatena. Non è opposto all’americano Gatlin che corre la seconda frazione, ma a Coleman, il suo giovane successore. È Blake che lancia Bolt. La Giamaica è indietro, deve recuperare, Usain ci prova, ma dopo 40 metri smette di correre, qualcosa gli morde la gamba sinistra, storce la bocca dal dolore, resta lì. La Gran Bretagna vince per la prima volta l’oro in 37”47, miglior tempo stagionale, argento agli Usa in 37”52, bronzo al Giappone in 38”04. Eppure Bolt era entrato dal tunnel con un balletto, abbassando la spalla, tra gli applausi. Il solito intrattenitore. Diverso da questo che se ne va senza gloria, in uno stadio contento per l’oro inglese, ma che ormai si è accorto che il suo re non può più molto. Nemmeno correre. Ci hanno provato McLeod Forte e Blake a dargli quello che tuto il mondo gli voleva dare: una spinta verso il traguardo. Sarebbe stato il quinto oro consecutivo nella staffetta, ma non era più tempo né di fulmini né di Bolt. Solo di cenere. Farewell, Mo. Anche per lui a 34 anni era l’addio alla pista. Cercava l’accoppiata dopo i 10.000, l’undicesimo oro, invece si ferma a dieci (non male). È secondo (13’33”22) dietro all’etiope Muktar Edris (13’32”79), bronzo l’americano Paul Chelimo. Londra è dispettosa, come per Van Niekerk dice no alle doppiette. Mo è stato preda, troppo accerchiato e troppo in ritardo. Sul rettilineo ha fatto fatica, da quarto è risalito a secondo, ma non aveva più freschezza. Quando i tre etiopi lo hanno assalito, ha ceduto. Sul traguardo il volto diventa buio. Sua moglie Tania è in lacrime, le tre figlie e il bimbo lo baciano. È finita.