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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Parla Patrizia Zanotti responsabile dei diritti del maestro: «Per il mio amico Pratt non c’era differenza tra le storie della vita e quelle dei fumetti»

«L’esperienza più emozionante vissuta con Hugo Pratt? Senz’altro il viaggio in Irlanda con Vincenzo Mollica nella regione del Connemara, nel 1982. Pratt si muoveva come fosse a casa sua. Tutti i suoi riferimenti geografici e letterari venivano fuori con grande naturalezza e proprio da lì sono iniziati i miei pellegrinaggi nei cimiteri alla ricerca degli scrittori amati da Pratt, quelli a cui rendeva il suo omaggio laico». A parlare è Patrizia Zanotti, colorista del grande maestro dell’avventura e poi, dopo la sua morte nel 1995, la responsabile della gestione di tutti i diritti.
Era giovanissima, in quel viaggio a Connemara.
«Sì, avevo 20 anni e per me quei momenti si rivestivano di una specie di alone macabro. Trovarmi in mezzo a croci celtiche sorvegliate dai corvi non era quello che mi sarei aspettata. Solo più tardi ne ho capito il senso». Ci spieghi. «Il luogo dove ho visto Pratt più commosso è stato nel momento in cui arrivammo all’isola di Apia, scelta da Stevenson per concludere il suo viaggio. Lì Pratt riusciva a rendere omaggio allo scrittore che più di tutti lo aveva influenzato e guidato nelle scelte di vita e artistiche, e l’emozione era percepibile». Di Pratt si dice spesso che preferiva vivere che fare i fumetti. Condivide questa affermazione? «Forse non c’era alcuna distinzione. Disegnare era il suo modo di esprimersi fin da quando sua nonna a Venezia, all’uscita dal cinema, gli disse: “Disegna quello che hai visto”. Vedere e disegnare, questo era vivere, di conseguenza arrivarono i viaggi, le esperienze, le immagini si formavano nella mente e poi arrivavano sulle sue tavole filtrate attraverso la sua grande fantasia». Amava più raccontare il passato o immaginare il futuro? «Amava allontanarsi dal presente. Voleva creare situazioni più legate al rapporto tra individui che collegate con l’attualità. Storie di uomini normali inserite nel contesto dei grandi eventi della storia o che avvenivano ai margini dei territori attraversati dalle guerre». Le raccontava mai le storie che stava immaginando? «Sì e molto spesso s’innamorava di un possibile dialogo o di una situazione strana dalla quale partire per una storia che stava immaginando. Leggendo con attenzione le sue storie, c’è sempre una scena o una semplice vignetta con una situazione assurda. Ecco, se quella non ci fosse non cambierebbe il racconto, ma alla fine questi dettagli fanno in modo che nel rileggere Corto si possano ritrovare continue scoperte o giochi». È nota la passione di Pratt per i libri. «Aveva una grande capacità di concentrazione quando leggeva, ed era più mattiniero che notturno. Prendeva note e sottolineava le pagine, spesso inseriva nei libri appunti o schizzi che poi ritrovava al momento giusto. Le sue letture potevano sembrare disordinate, in realtà seguivano un filo preciso. E poi aveva una memoria formidabile». Altra passione di Pratt era quella per il cibo. «La tavola era il momento della convivialità, del divertimento, della condivisione in contrapposizione con la solitudine del disegnatore. E poi quelli erano momenti necessari per carpire qualche battuta dai suoi amici che magari poi s’incastonava alla perfezione nella storia che stava scrivendo». Nei fumetti di Pratt c’è il perfetto equilibrio tra i dialoghi e i silenzi. Nella vita aveva questo equilibrio? «Pratt diceva di essere un solitario, ma non un uomo solo. Credo che in quest’affermazione ci sia tutta la risposta». Se dico che, più di tutto, Pratt aveva la passione per l’amicizia, lei è d’accordo? «Assolutamente sì, l’amicizia rappresentava per lui un valore che consente di non avere frontiere culturali né intellettuali. Pratt manteneva rapporti con i suoi amici, sia dell’infanzia a Venezia che della giovinezza in Argentina o in Inghilterra. Del resto c’è una frase molto forte che fa pronunciare a Corto: “L’unico principio in cui credo è quello di non tradire mai gli amici”».