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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Eravamo Fedeli alla linea. Allo Sponz Fest si celebrano rivoluzioni e mondi al rovescio. Il racconto di Massimo Zamboni

Trentacinque anni fa nasceva una storia: quella dei CCCP – Fedeli alla linea che inventarono il punk filosovietco sull’Appenino emiliano. Quattro persone (e un contorno di musicisti che sarebbero cambiati nel corso del tempo): Giovanni Lindo Ferretti il cantante, Massimo Zamboni il chitarrista, Annarella Giudici la “soubrette” che sul palco ad ogni brano cambiava surreali vestiti da lei stessa creati e l’inquietante Fatur, l’Artista del popolo, “un pazzo”, da definizione dello stesso Ferretti. Furono intervistati da Pier Vittorio Tondelli: “Chiamano le loro esibizioni Concerti-Comizi”; e raccontati da Edmondo Berselli: “Ferretti e Zamboni cominciarono a progettare il loro personale show rivoluzionario… Una mimesi del dogmatismo comunista e delle sue simbologie li avrebbe portati a incidere dischi dai titoli crepitanti come Ortodossia, Socialismo e barbarie riprendendo ironicamente Sartre, Affinità- divergenze fra il compagno Togliatti e noi, citando un testo del ‘ Chairman Mao’”. Li fotografò Luigi Ghirri, si costruirono un pubblico trasversale, lo divisero, si divisero. Suonarono nei circoli Arci e nei centri sociali ma anche a Superclassifica show, nel 1988, reinterpretando con Amanda Lear il suo tormentone del ’77, Tomorrow. In occasione del centenario della Rivoluzione Russa che verrà celebrato allo Sponz Fest dove interverrà Massimo Zamboni, oggi scrittore oltre che musicista, vale la pena raccontare chi sono stati. Come sono nati i CCCP – Fedeli alla linea? «Una sera a Berlino mentre ero l’unico a ballare in un locale punk una canzone dei fricchettonissimi Doors ho incontrato un’amica italiana che mi dice “ti voglio presentare uno di Reggio”. Non me ne poteva fregare di meno. Dopo ripetute insistenze gli parlo: “Massimo”, “Piacere Giovanni”. Era stanco, era malato, doveva partire per la Tunisia. È rimasto. Diventiamo amici e quando torniamo a casa decidiamo che volevamo creare un gruppo di musica moderna. In maniera completamente dilettantesca: io non avevo mai suonato, lui non aveva mai cantato». L’intervista che fece conoscere i CCCP al mondo della cultura fu quella che vi fece Vittorio Tondelli su “l’Espresso” nel 1984. Fu lui a cercarvi? «Sì, non so come Pier Vittorio avesse avuto il mio numero, comunque mi telefonò e fissammo l’appuntamento nella mia mansarda a Reggio. Noi non avevamo letto i suoi libri e fu un bene perché così non avevamo un’opinione formata su di lui. Aveva uno sguardo molto acuto, capace di estrarre dalla vita di provincia molte cose che nessuno prima di lui aveva raccontato. Quell’articolo ci ha aperto tante porte: era come se l’avessero letto tutti, almeno intorno a noi». Nel vostro dichiarato amore per l’immaginario filosovietico quanto era provocazione e quanto adesione reale? «C’erano entrambe le cose. Se vieni da Reggio Emilia quell’immaginario ce l’hai nel sangue. Tanto che, dopo questo festival, quest’anno celebreremo il centenario della Rivoluzione Sovietica anche con un nuovo spettacolo itinerante nei teatri». Cosa succederà? «Si intitolerà I Soviet + L’elettricità – Cento anni dalla rivoluzione russa – Un secolo di CCCP e sarà un “comizio musicale”, non un concerto, anche se i musicisti ci saranno ma verranno percepiti come una sorta di “commissari del popolo” con molti ospiti tra cui Fatur, Max Collini, Angela Baraldi e altre sorprese. La prima sarà al teatro Augusteo di Napoli il 7 novembre. Avevamo voglia di sbattere in faccia a quelli che su quel mondo hanno costruito delle carriere politiche, soprattutto qui in Emilia, tutta la loro ridondante retorica, portando sul palco quello che dicevano nei loro comizi. Vorrei esprimere compiutamente il sentimento di amore per certe cose e al tempo stesso di odio nel vedere come venivano utilizzate». Ma voi con chi stavate alla fine? «Con nessuno. Noi siamo nati proprio sulla fine delle ideologie quando non se ne poteva più di pensare che il mondo fosse diviso in due». E il Pci come vi ha considerato? «All’inizio con molta perplessità. I punkettoni, che erano anarchici, ci detestavano perché dicevano che eravamo comunisti, i comunisti altrettanto, perché dicevano che noi eravamo punkettoni. Quando sono andato alla sezione reggiana di Italia/ Urss ricoperto di medagliette di Lenin sulla giacca a chiedere degli opuscoli, il segretario del tempo rimase basito: da un lato era quello che avrebbe voluto dai giovani di allora ma c’era qualcosa che gli suonava strano. Comunque credo che quel mondo, pur non capendoci, ci abbia adottato: è un affetto che sento anche oggi». Ai tempi chi era il vostro pubblico? «All’inizio un pubblico che si è andato creando per affinità vera o presunta: punkettoni vari, freak, personaggi bizzarri, gente che frequentava i centri sociali che però a poco a poco siamo andati a deludere perché non volevamo essere portatori di istanze che non ci appartenevano. Abbiamo litigato pesantemente col Leoncavallo più volte e in altri casi siamo stati insultati, picchiati, minacciati, una volta hanno persino bruciato il nostro striscione. Poi col tempo il pubblico si è allargato: in Italia c’è un ottimo giro di persone intelligenti, curiose, interessate a quello che accade al mondo… Eravamo molto amati e molto odiati allo stesso tempo». Perché? «I militanti non potevano sopportare che ci rifiutassimo di essere i portavoce di un movimento, quello punk, di cui non ci fregava assolutamente nulla. Noi eravamo in giro per sopravvivere, non per fare i portavoce». Vi hanno accusato di essere “fedeli alla lira”. «In realtà quella definizione l’ho inventata io, proprio per rispondere con sarcasmo alle critiche ridicole che ci accusavano di esserci venduti perché facevamo dischi con la perfida multinazionale guadagnando due lire mentre intanto in Italia c’era il delirio, come ha mostrato Mani Pulite e non solo». Per non parlare di quando avete fatto “Tomorrow” con Amanda Lear. «L’abbiamo fatta proprio perché tutti volevano trovare affinità tra i CCCP e vari gruppi politici o movimenti mentre noi ci sentivamo più vicini a Patti Pravo o Amanda Lear. Patti era appena stata licenziata dalla Virgin, Amanda invece era disponibile e così le abbiamo chiesto se voleva fare una cosa con noi». Ma secondo lei che cosa ha capito di voi? «Non lo so. Credo che di noi e della nostra etica ed estetica non le potesse importar di meno, però credo che si sia divertita, anche perché ha avuto l’occasione di fare alcune belle serate in posti impensati come un mitico concerto al Palatrussardi in cui lei vestita solo di una rete da pesca succhiava acini di uva bianca per sputarli al pubblico che cercava di prenderli con la bocca. E lo stesso dicasi per noi che ci siamo trovati ospiti di trasmissioni televisive ultratrash che mai ci saremmo immaginati…». A quel concerto, strapieno, il pubblico però reagì benissimo. «Ormai, come dicevo, il pubblico si era molto allargato. Però con il successo cominciavano ad esserci i primi segnali di qualcosa che non mi piaceva. La casa discografica iniziava a chiederci di fare pezzi che potessero piacere al pubblico e alle radio. Non era questa la maniera di esprimerci che ci interessava». Nel 1989 avete suonato anche in Urss. Che cosa ha significato per voi? «Mosca è una città bellissima, molto pesante e molto compromessa, tanto che il concerto era organizzato da un autentico mafioso georgiano. La platea era praticamente composta da intellighenzia e militari in divisa, tutti seduti, che si sono alzati sull’attenti come un sol uomo quando abbiamo fatto l’inno nazionale sovietico, sia pure nel nostro modo e con Fatur e Annarella mezzi nudi, agghindati in maniere assurde. È stato in quel momento che abbiamo capito che eravamo arrivati esattamente dove volevamo e che quindi non aveva più senso continuare con i CCCP». Perché è finita? «Perché i gruppi sono entità fragili, le persone entità insopportabili che non si possono frequentare così in profondità per periodi troppo lunghi e soprattutto perché, ci siamo resi conto che non avevamo più niente da dire». C’è qualcuno oggi che ha raccolto l’eredità dei CCCP?
«Secondo me no. Io adoro Vasco Brondi, fa cose molto belle, ha scritto canzoni che parlano dei CCCP e abbiamo fatto anche un viaggio e un libro insieme, Anime Galleggianti. Ma non gli farei giustizia dicendo che è un nostro erede. Vasco è Vasco. Così come Max Collini, che viene da un mondo simile ma fa cose molte diverse da noi che, pure mi piacciono moltissimo. Ma i CCCP credo siano stati un’esperienza unica. Non eravamo musicisti ma un gruppo di pazzi forse. Però, se chiudo gli occhi, dentro ci vedo la complessità del mondo che si srotola davanti a me». Non c’è nessuno neanche tra i giovanissimi? Penso, tra i nuovi gruppi, a provocatori di cui si parla molto come i Pop X per esempio…
«Sinceramente, io non so nulla della musica di oggi. Vivo in campagna e in questo momento sto ascoltando degli inni sovietici e leggo il Dottor Zivago…». ?