Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 13 Domenica calendario

I fotoni di Sam e Cormac. Il commediografo premio Pulitzer e l’autore di “Non è un paese per vecchi” accomunati dalla passione per la scienza e la tecnologia. Così li ricorda David Krakauer, presidente del Santa Fe Institute

Sam Shepard e Cormac McCarthy lavoravano in due stanze adiacenti, vicino alla biblioteca. Quando erano lì a scrivere l’Istituto risuonava come una acciaieria novecentesca, per il loro assordante martellare sulle macchine per scrivere, una Olympia SM9 per Sam, una Olivetti per Cormac». La morte di Shepard, la scorsa settimana a 73 anni per le complicazioni della sclerosi laterale amiotrofica di cui soffriva da tempo, ha colto di sorpresa David Krakauer, presidente del Santa Fe Institute. Che ora ricorda i mesi in cui due dei maggiori esponenti della letteratura americana condivisero lo stesso tetto, quello dell’istituto che nel cuore del deserto del Nuovo Messico si autodefinisce “il quartier generale della scienza della complessità”. Fondato nel 1984 tra gli altri da Murray Gell-Mann, premio Nobel per la fisica 1969 per aver introdotto il concetto di quark, il Santa Fe Institute è considerato tra i primi venti think tank mondiali che si occupano di scienza e tecnologia. Lì nel campus circondato da rocce e arbusti, un paesaggio simile a quello attraversato da tanti loro personaggi, l’attore, commediografo, romanziere premiato con il Pulitzer nel 1979 per il suo Buried Child, e lo scrittore autore di Cavalli Selvaggi, Meridiano di sangue, La strada e Non è un paese per vecchi, si sono incontrati e confrontati con fisici, matematici e neuroscienziati. Professor Krakauer, come ha conosciuto Sam Shepard? «Mi fu presentato dalla comune amica Valerie Plame ( l’ex agente segreto al centro del Cia-gate nel 2003, ndr), dopo che Sam aveva interpretato il ruolo del padre di lei nel film Fair Game. Lo invitai a trascorrere un periodo di studio al Santa Fe Institute». Quale fu la sua reazione? «Mi chiese se sulle scrivanie dell’Istituto c’era abbastanza spazio per una macchina per scrivere Olympia. Lo rassicurai che non sarebbe stato un problema: Cormac McCarthy non aveva avuto difficoltà con la sua Olivetti. Ci ritrovammo a Santa Fe pochi mesi dopo a parlare di penne. Io amo quelle stilografiche, Shepard preferiva quelle a sfera o le matite: le portava sempre in tasca per scrivere su qualunque pezzetto di carta, in caso di ispirazione». Niente computer? «No, la stessa idea di computer o di word processor era un anatema per Sam. A lui piaceva il ritmo vitale degli strumenti meccanici». Perché decise di invitare un personaggio come Shepard al Santa Fe Institute? Che tipo di contributo avrebbe potuto dare allo studio e alla comprensione della complessità? «Lui da noi è stato un Miller Scholar. Un ruolo pensato per personalità di grande creatività, libere dalle gabbie dei generi, dei campi e delle discipline. Il contributo di Sam era Sam stesso: instancabile, brillante, eclettico. Un amico con cui discutere di narrativa, poesia, folk music. Arrivò da noi come un curioso nomade autodidatta. E si fermò come uno studioso pioniere». Tra tutti gli argomenti legati alla complessità e studiati nell’Istituto, cosa affascinava di più Shepard? «Il linguaggio. A Sam interessavano la sua storia, la sua struttura e le sue potenzialità. L’autore polacco Bruno Schulz ha scritto: “Un evento può essere piccolo e insignificante in origine, eppure se qualcuno lo osserva da vicino, il suo centro si può aprire in prospettive infinite, perché un essere di ordine superiore sta cercando di esprimersi attraverso di esso e lo irraggia violentemente”. Ecco, è esattamente ciò che facciamo nella scienza. Sam era interessato a questo, non alla scienza in sé che non è mai stata al centro dei suoi interessi. Ma lo affascinavano i misteri più profondi dell’esistenza, la capacità di descrivere la coscienza, i nostri tentativi di codificare la bellezza naturale con la matematica». E McCarthy? «Cormac è più interessato alla scienza e alla matematica. E ne è influenzato. Da un punto di vista filosofico è uno scienziato». Come sono stati i rapporti tra i due al Santa Fe Institute? «Si conoscevano da tempo. Avevano certamente una affinità spirituale: entrambi esteti, resi lapidari e visionari dagli implacabili fotoni del deserto. Qui discutevano durante le conferenze o in lunghissimi dopo cena. Li ho sentiti confrontarsi su Nabokov, Hamsun, Melville e Beckett. Sam amava Roberto Bolaño. Cormac, come per tutti gli scrittori contemporanei, sosteneva che fosse troppo vicino per darne un giudizio equilibrato». Cos’altro accomunava questi due giganti della letteratura? «Un profondissimo amore per il paesaggio americano, che li portava ad avere una sorta di affinità geologica con la Terra. E un grande rispetto per la natura non umana: dalle balene, ai cavalli, ai lupi. Entrambi erano membri della congregazione di Melville, della parrocchia di Beckett, e condividevano una identificazione quasi genealogica con l’Irlanda, la sua cultura, la sua lirica». In modi diversi, hanno raccontato il West. È questo che li ha portati a Santa Fe? «Penso di sì. Avrebbero potuto vivere in qualsiasi luogo del mondo, ma entrambi hanno scelto il Nuovo Messico». Ha parlato con Cormac McCarthy dopo la scomparsa di Sam Shepard? «No, non ancora». ?