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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Quant’è cattiva Cenerentola

Verrà presentata alla prossima mostra di Venezia Gatta Cenerentola, un film di animazione dei ragazzi di Mad, lo studio partenopeo da molti considerato tra i migliori d’Europa. In questa versione della storia incontriamo una Cenerentola diciottenne – non ancora pienamente donna, e questo è il cuore vitale della storia – che corre affannosamente lungo il corridoio di un transatlantico in festa. Più che una favola, sembra il trailer di Nikita, giovane protagonista del film che consacrò Luc Besson come uno dei pochi registi europei in grado di dirigere convincenti film noir. Invece del castello del re c’è una Napoli spettrale che ricorda la Los Angeles del primo film di Blade Runner e anche quella immaginata nel testo di Philip K. Dick da cui venne tratto. Invece di pioggia e sabbia, a incupire animi e ambienti sono i fiocchi grigi del Vesuvio, che cadono costantemente. E se in Blade Runner l’unica via di fuga erano le astronavi dirette negli altri mondi, in questa nuova Napoli la speranza di una vita migliore è aggrappata a una nave da crociera avveniristica, la Megaride, progettata – per amor di citazione – dal filantropo Vittorio Basile, che l’ha popolata di melanconici ologrammi. Oggi la nave è arenata nel porto, trasformata in bordello, amministrata dalla malavita. Cenerentola, il vestito sporco di sangue, è una killer, cerca di fuggire dalle sei sorelle. Le intenzioni dello studio, secondo Ivan Cappiello, uno degli autori, sono di «non fare di Cenerentola un’eroina classica», nel senso disneyano del termine, e di quelli che oggi noi crediamo essere i canoni classici delle favole.
In realtà, la vera anima di questo personaggio, o almeno quella a cui Mad ha attinto con «rispetto e anarchia», per continuare a citarli, è quella raccontata da Giambattista Basile nel XVII secolo, una vicenda succosa e densa di sentimenti, di meraviglie e umori scabrosi, complessità e gusto dell’orrido che scomparvero nella più conosciuta versione, sempre seicentesca, che Charles Perrault semplificò per il suo pubblico di nobili francesi.
Basile scriveva in napoletano per un pubblico di amanti del teatro (e la pubblicazione del suo Cunto de li Cunti avvenne postuma per volontà della sorella), mentre Perrault cercava di inventarsi un mestiere, dato che aveva perso il posto di segretario di Colbert, ministro di Luigi XIV. E per quello che può parere uno scherzo moraleggiante, cercò di attribuire la sua raccolta di favole al figlio diciottenne, sotto processo per aver ucciso un coetaneo a duello, nel tentativo di ingraziargli qualcuno della corte. Furono poi i fratelli Grimm, agli inizi dell’Ottocento, a riscoprire Basile e recuperare gli aspetti più neri e profondi di Cenerentola, la sua emotività, la magia della natura e la ferocia delle persone intorno a lei. Siamo abituati a favole blandamente edificanti, mentre le vere favole tenevano inchiodati i marmocchi sotto alle lenzuola grazie alla complessità della paura. Secondo i due fratelli tedeschi, poi costretti a edulcorare e riscrivere molte favole, non poteva esserci libro che parlasse della natura dell’uomo che non affrontasse, anche, questioni imbarazzanti.
E infatti, nella versione seicentesca di Basile, Cenerentola, che si chiama Zezolla, non è affatto un’eroina positiva ubbidiente e di buon cuore: anzi. Spezza il collo della prima matrigna con il coperchio di un baule seguendo il consiglio di una vecchia maestra di ricamo. E non si arrende nemmeno con l’arrivo di una seconda matrigna e delle sei perfide sorelle (che verranno ridotte a due in tutte le successive versioni, forse scambiando il numero di figlie per un tratto di colore tipicamente partenopeo): quando il padre, che è un principe (o semplicemente un uomo ricco, come nei Grimm), andrà a fare un viaggio d’affari in Sardegna, l’isola remota delle fate, e domanda alle figlie cosa vogliono in dono al suo ritorno, le sei sorellastre chiedono abiti e lustrini, mentre Zezolla gli impone una promessa. O parlerà di lei a una certa colomba magica, o non potrà tornare a casa. E il padre rimarrà infatti bloccato in porto fino a che non si ricorderà della promessa. Tornerà con un dattero magico (il dattero era una pianta simbolo di fertilità), una zappa e un secchiello d’oro, dove Zezolla farà crescere un albero magico capace di operare la sua trasformazione. L’albero magico (ovvero la natura che compie il destino) è presente anche nella versione dei Grimm, dove il padre riporta alla figlia un ramo di nocciolo, ma scompare da Perrault: a fare gli incanti sarà una semplice comare. E scompaiono anche i balli, che anziché essere tre, sono uno solo. E questa è una differenza profonda, che verrà accentuata dalla versione disneyana della storia: mentre in Basile e nei Grimm è infatti Cenerentola a scegliere di continuare i balli e di sedurre così il re o il principe che sia, in Disney/Perrault è il principe a scegliere subito di innamorarsi di lei.
Non è una differenza di poco conto, perché in un caso racconta di una fanciulla, anche con toni neri, che sta creando il suo destino, mentre nell’altro lo subisce, confidando nella sua bellezza perché si è sempre comportata in modo virtuoso.
È noto come avviene il riconoscimento degli amanti: con una scarpetta. Meno, forse, che nei Grimm la matrigna consiglia alle due figlie di mozzarsi un dito e un calcagno, pur di provare a indossarla. E che una volta riconosciuta la predestinata, le sei sorelle di Basile se ne tornano a case mogie mogie, capendo che non ci si può opporre al destino, mentre a quelle dei Grimm vengono cavati entrambi gli occhi da una colombella. È solo Perrault che fa perdonare matrigna e sorelle, per via della, da lui supposta, superiorità morale dei nobili su tutte le altre classi sociali. Ed è da questa versione che Disney prese ispirazione. Trovò in Perrault una storia già limata da asperità e simbologie oscure, con un’idea soverchiante dell’occasione unica da cogliere nel poco tempo concesso: il famoso ritorno prima della mezzanotte (si dice che, allo stesso modo, Disney fosse ossessionato dalla cannonata di mezzogiorno dell’ammiraglio Boom in Mary Poppins ). E fu così, che, con trovate geniali e scherzi memorabili, Cenerentola si colorò d’azzurro.
Eppure, non era così che la si raccontava nell’antico Egitto (dove era una schiava e si chiamava Rodopì). E nemmeno in Cina, da cui arriva l’idea della scarpetta: che sia di pelle, oro o cristallo, è sempre piccolissima, in omaggio, appunto, a quello che per loro era il più importante canone di seduzione femminile.
Cenerentola è la grande fiaba femminile del passaggio d’età: per questo il sangue, e per questo le sfaccettature di ruoli femminili. I maschi sono assenti, come il padre che lavora, si fa ingannare e si sposa a casaccio; o incapaci, come il servitore del re che non riesce mai a inseguirla fino a casa; infine, sono esseri potenti pronti a essere sedotti, in pura osservanza del principio darwiniano che sono le femmine a scegliere il maschio, e non viceversa.
Cenerentola è quindi un personaggio fortemente determinato, che non si concede con facilità, una maestra di seduzione, cui fanno compagnia, di volta in volta, lo spirito della donna perfetta (la madre, morta); la perfida vecchina che le insegna che non c’è niente di male a uccidere pur di superare gli ostacoli; la matrigna bugiarda che cerca di ingraziarsela solo per assicurarsi la sua casa e poi di sbarazzarsi di lei; le sorelle stupide e materialiste, invidiose della sua bellezza, e una serie di fate: che siano colombelle o comari, è la natura stessa a compiere la trasformazione di Cenerentola in una donna consapevolmente innamorata e, perciò, del tutto irresistibile.