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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Intervista a Marina Cicogna: «Il cinema, Venezia, l’Avvocato. Ho amato una donna ma dico no alle nozze gay»

Marina Cicogna ha qualcosa di Gianni Agnelli, che fu suo grande amico (sarà ricordato il 3 settembre alla Mostra di Venezia in un documentario della HBO), e cioè un tocco di svagatezza e al contempo una grande lucidità, la curiosità avida, l’improvvisa impazienza, il senso estetico ma soprattutto una luce negli occhi, qualcosa che nessuna educazione può insegnare: si chiama carisma. Nell’ingresso della sua abitazione tanti premi di cinema, mancano i due più importanti: gli Oscar per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, e quello per Ladri di biciclette vinto da suo padre Cesare, che era banchiere.
«Sono stata la prima donna a produrre film in Europa», dice Marina, «ero così giovane e ho smesso così presto, avrei potuto fare più cose, ma spesso non dipende da noi». Eppure la sua è una vita unica, l’eleganza e il privilegio. Suo nonno, il conte Giuseppe Volpi di Misurata, aveva fatto fortuna in Montenegro e in Turchia, poi, innamorato di Venezia, per rilanciarne il turismo creò il porto di Marghera. Ma questo è solo l’inizio della storia. «Scoprì che Tyrone Power, Mary Pickford e altri attori americani amavano la spiaggia e la Laguna. Così fece tirare un grande lenzuolo e mettere delle sedie in uno dei suoi hotel, l’Excelsior al Lido, lì dove oggi c’è la piscina, e nel 1932 inventò il Festival del Cinema, che per alcuni anni rimase unico al mondo. Morì che avevo 10 anni, industriale e politico, fu governatore in Libia nell’Italia di Giolitti e ministro di Economia e Finanze in quella di Mussolini, con cui aveva un rapporto pessimo». Cosa ha ereditato dal nonno? «Certo non l’abilità di fare denaro, sono in grado di amministrare i soldi per un progetto, ma non so farli. Credo di avere ereditato un po’ di cervello dalla mia bisnonna, ebrea polacca».
Quando i genitori di Marina si separarono, dopo la guerra, lei cominciò a diventare «un’adolescente con dei problemi. Il periodo della scuola lo passavo a Milano da mio padre, da cui scappai a 12 anni per andare a Roma da mia madre. Mio fratello Ascanio lo misero in collegio. Amavo il cinema, incontravo gli attori, David O. Selznick, il produttore di Via col vento, mi considerava la figlia femmina che non aveva avuto, all’università in California la mia vicina di stanza era Barbara Warner, la figlia di Jack Warner, più tardi Montgomery Clift divenne mio intimo amico. Tra i 18 e i 26 anni mi tolsi tutta la voglia di divertimento».
In Italia sua madre Annamaria aveva acquistato la Euro International Film, società di distribuzione. «Non conoscendo nessuno abile nella scelta, mi feci avanti io. Il mio primo film fu L’uomo del banco dei pegni. Andai a Cannes, dove c’erano i manifesti di Bella di giorno con Catherine Deneuve. Alla Euro mi presero a male parole: chi è questo Buñuel? Risposi: andrà bene nelle sale e vincerà a Venezia. Così fu. Volevo film con protagoniste donne che uscissero da schemi normali. Presi Helga, tedesco, non si era ancora mai visto un parto in primo piano: costato 10 milioni di lire, guadagnammo 3 miliardi». Era pronta per il salto come produttrice, ed ecco Metti, una sera a cena di Peppino Patroni Griffi. «Non fu per la protagonista, Florinda, che lo feci». Florinda Bolkan, per 18 anni la sua compagna. Perché finì tra voi? «Le attrici con una bellezza così importante, a un’età matura, sentono il bisogno di avere certezze. Cominciò ad avere storielle, all’inizio le accettai, poi mi sono seccata».
Marina ha rotto certi tabù ma non è mai stata un simbolo, voleva solo essere se stessa. «Facevo quello che mi sembrava giusto, non mi sono mai dovuta spiegare». Ha detto di essere contraria ai matrimoni tra omosessuali. «Sono contraria ai matrimoni in genere. Ho amato le femministe ma non fanno parte del mio carattere e della mia educazione; nutro ammirazione per certe conquiste difficili da ottenere. Oggi che tutto è accettabile non capisco la necessità di sposarsi, salvo i diritti postumi fondamentali. Forse è la mia mentalità obsoleta».
Marina ha adottato Benedetta, di una ventina d’anni più giovane. «È una persona particolare, non pensava di essere comparabile a Florinda, ora questo le interessa meno. Magari tutti i figli naturali fossero vicini come lo è lei!». Ha anche avuto storie con uomini: i più noti sono Alain Delon, Warren Beatty. «Con Delon fu più di un flirt, Warren era attirato dalle donne che avevano talento, fu lui a cercarmi».
È vero che Gianni Agnelli la considerava la sua vera rivale? «È una leggenda metropolitana, con un fondo di verità, a Gianni divertiva l’idea di fare una gara, faceva parte dei suoi giochi infantili e dei dispetti. La mia famiglia si chiama Cicogna Mozzoni. Io vestivo di bianco, Gianni mi diceva: Mozzoni, tu devi essere clonata. Faceva battute, a lui piaceva molto piacere agli altri. Era importante in lui il lato di nipote di ufficiali, e non mescolava mai i rapporti. Io abitavo al Grand Hotel con mia madre, era anche lui lì con Anita Ekberg. Mi fulminò con gli occhi. Gianni faceva parte della nostra vita familiare come uomo sposato, non come playboy». Vivevate al Grand Hotel... «Ma sai, mia madre ha vissuto come una principessa reale, non si è mai occupata di denaro, ma non era una dissipatrice come qualcuno ha detto, anzi ha voluto pagare di persona i debiti contratti da mio fratello alla Euro Film». Ha vissuto tragedie familiari, nel 1972 a Rio si suicidò suo fratello Ascanio, detto Bino. «Cadde nella trappola di truffatori, aveva un mandato di cattura, c’era un problema di droga».
Quella fu l’ombra del suo mondo dorato. Il jet set degli Anni 60... «Era il mondo del cinema, che all’epoca si frequentava molto, Liz Taylor e Richard Burton, Jeanne Moreau, la mia più grande amica, Marilyn Monroe che aveva sposato Joe Di Maggio e mi chiedeva come sono gli italiani, aveva poco i piedi per terra». E Jackie Kennedy? «Non facciamo l’elenco, vero? Era un po’ come Maria Callas, grande cantante ma donna noiosa. Nella maturità, le difficoltà della vita le hanno trasformate rendendole affascinanti».
Com’è cambiato il concetto di lusso? «Oggi è l’accumulo di denaro, cifre enormi, mostruose finite nelle mani di poche persone. Almeno in America fanno beneficenza. Le persone ricche di una volta, oggi sarebbero abbastanza modeste. La grande differenza è la frenesia di finire sui giornali. Gianni Agnelli mi diceva: noi ci divertiamo sperando di non apparire sui giornali, ora si fa il contrario. È finito tutto con il ’68. Io l’anno prima a Venezia avevo tre film, feci venire Jane Fonda con Roger Vadim su un aeroplanino per una festa ye-ye, vestiti in bianco e oro. C’erano Karajan e Onassis, Grace Kelly e Ranieri di Monaco. Queste cose le facevamo perché potevamo permettercelo. Dopo il ’68 non si poteva più, senza venire tartassati sulle riviste».
Fellini e Visconti: Marina non vi ha mai lavorato. «Con Federico, i produttori non sapevano mai come andava a finire; Luchino (mio parente alla lontana) era il loro massacratore. Era geloso se lavoravi con gli altri, quando Florinda Bolkan lavorò per Patroni Griffi le tagliò la parte in La caduta degli dei. Da presidente di giuria a Cannes premiò Trintignant, ma per un altro film, non il mio. Non gli parlai per due anni».
I Festival di cinema continuano a piacerle? «Mi piacciono quelli compatti, Berlino, Toronto. O quello piccolo a Lione. Cannes è tutto gioielli e moda, ha ragione Depardieu. A Venezia sono legata e quest’anno mi sembra molto interessante». Che effetto le fa andare al Festival che inventò suo nonno, all’Excelsior che apparteneva alla vostra famiglia? «Nessuno, non l’ho mai vissuto come un Festival di famiglia. Il passato esiste ma lo devi superare, devi sempre fare qualcosa di diverso». E oggi lei cosa fa? «Avrei voluto creare un’agenzia come Unifrance per il nostro cinema. Ma ora è tutto politica e gli appoggi non li ho. Ho pubblicato due libri di foto, mi hanno chiesto di essere testimonial di una celebre casa di moda. A 83 anni! Ho detto sì, e mi pagano pure».