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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Bandiera sudista, nuca rasata, polo bianca. Gli eredi del KKK tolgono il cappuccio

Gli zombie con il cappuccio o la svastica sono arrivati a Charlottesville dai cimiteri ideologici dell’Ottocento e del Novecento con lo smartphone in una mano e il bandierone nell’altra: «Siamo un popolo». Otto mesi fa, sembra storia antica, non contavano niente. Il popolo del bandierone della Confederazione schiavista sconfitta dalla Guerra civile, da Lincoln e dalla Storia; il popolo con la nuca rasata e il saluto nazista, gli americani che tifano per quelli che il loro Paese ha sconfitto 72 anni fa. Fino all’anno scorso sembravano semplicemente un «bug», un difetto del software dell’America, una minoranza sostanzialmente invisibile dispersa in località remote, e il rischio più grande qualche piccola adunata – notturna e boschereccia – in Montana o Idaho inneggiando al Führer e in Mississippi rimpiangendo le croci in fiamme del Ku Klux Klan (Timothy McVeigh, reduce che nel 1995 bombardò la sede dei federali a Oklahoma City uccidendo 168 persone, fortunatamente era un caso isolato, non il soldato di un nuovo esercito di miliziani).
«Ci siamo anche noi», gracchiava nell’altoparlante il leader della parata di Charlottesville, Richard Spencer, uno che nell’Ue non può più tornare dopo che aveva tentato di organizzare attività neonaziste in Ungheria e ora si atteggia a capo di questa nazione bianca che spaventa non solo l’America; e che ha trovato un partito repubblicano troppo timoroso per intervenire al di là dei tweet di ieri di Paul Ryan (Camera) e Orrin Hatch (Senato), con Trump che ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte.
L’adunata sediziosa con omicidio veicolare tra la folla – stile Isis – ha colpito il cuore dell’America jeffersoniana (fu il presidente illuminista e inventore a fondare l’Università della Virginia) usando la pericolante statua del generale sudista Robert E. Lee, altro capitolo di Storia che l’America interrazziale ha rottamato, per far sentire la sua voce.
Quella che troppo generosamente i media americani hanno finora chiamato alt-right, destra alternativa, è in realtà una coalizione eversiva, spiegavano finora inascoltati al Southern Poverty Law Center, non profit dell’Alabama che studia dal 1971 i movimenti razzisti americani. Ci sono sì gli eredi dei vecchi incappucciati del KKK, cioè sudisti che odiano i neri e rimpiangono l’era della schiavitù. Ci sono i neonazisti con la polo bianca e i pantaloni kaki e la nuca rasata (molti di più, ieri, degli incappucciati nostalgici del KKK) che usano l’immigrazione come cavallo di Troia per invocare (per ora) il ritorno all’America pre 1965 che favoriva l’ingresso degli europei per legge.
Le basi ideologiche? Da una parte Julius Evola (con la sua teoria della razza) e dall’altra i due fondatori del Ku Klux Klan, Nathan Bedford Forrest che inventò l’organizzazione nel 1865, e William Joseph Simmons che nel 1915 la riesumò e fece diventare la macchina da linciaggi di neri che rimase per mezzo secolo. David Lane, uno che le persone normali non avevano mai sentito nominare fino a qualche mese fa, è un altro maître-à-penser di questa estrema destra americana che strizza l’occhio a Hitler: Lane uccise un dj ebreo nel 1984 e dal carcere fece grande attività divulgativa delle sue idee incentrate sulle cosiddette «14 parole» (uno slogan sulla sopravvivenza della razza bianca che secondo costoro sarebbe in via d’estinzione). Basta aggiungere islamofobia e generico razzismo, ed ecco
Charlottesville, la festa degli ex appestati, gli zombie che escono dai cimiteri ideologici dell’Ottocento e del Novecento con uno smartphone. Forti da sempre della protezione loro attribuita dalla Costituzione (il primo emendamento, il più importante, impedisce allo Stato di limitare la libertà di parola e di stampa anche quando abbia contenuti odiosi: leggi come quelle tedesche sarebbero impossibili in Usa) hanno trovato ora l’aiuto dei social media (con le aziende della Silicon Valley come sempre lentissime nell’intervenire, quando lo fanno). Grazie alla grancassa tra Internet e le ascoltatissime (dalla destra) radio dei talk show, personaggi come Alex Jones di Infowars – che ha spiegato in diretta: la Nasa rapisca i bambini e li costringa a colonizzare Marte; la strage di bambini dell’asilo di Newtown è una messinscena organizzata da Obama per disarmare l’America – diventano dei maître-à-penser.