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 2017  agosto 13 Domenica calendario

In Virginia violenza e paura. La sfida choc dei suprematisti

Proclamato lo stato d’emergenza. Un’auto è piombata su uno dei cortei degli oppositori dei nazionalisti: almeno un morto, decine i feriti. Arrestato il conducente. Il presidente Trump ha condannato «la violenza e il bigottismo messo in campo da più parti: l’odio e le divisioni devono finire ora».
Una giornata di odio ha scosso ieri Charlottesville, città universitaria di 47 mila abitanti in Virginia, che nel 2014 venne definita la più felice d’America. Una cittadina liberal: qui l’80% ha votato per Hillary Clinton. Ma negli ultimi mesi diversi gruppi di estrema destra sono discesi sulla città per contestare la decisione del Comune di rimuovere la statua del generale dell’esercito confederato Robert E. Lee. Nonostante altre città del Sud come New Orleans, Austin, St. Louis abbiano vissuto contrasti sul destino dei simboli confederati, Charlottesville è diventata una sorta di magnete per suprematisti bianchi, membri dell’alt-right (l’estrema destra xenofoba) e nostalgici del Sud. Il raduno di ieri, lanciato dal blogger di destra (che non si considera nazionalista bianco) Jason Kessler sotto il nome «Unite the Right», non era il primo; ma era stato organizzato per mesi, e con almeno duemila persone – tra manifestanti di destra e «antifascisti» – è stato uno dei più grossi in un decennio.
Pugni, bastoni, spray al peperoncino: già verso mezzogiorno, dopo l’inizio degli scontri, il governatore della Virginia Terry McAuliffe ha proclamato lo stato di emergenza, e la polizia ha dichiarato «fuorilegge» la marcia. In assetto antisommossa gli agenti, affiancati dalla Guardia nazionale, hanno usato i lacrimogeni per disperdere i manifestanti, arrestando un numero imprecisato di persone. Più tardi un’auto ha investito deliberatamente un gruppo di contro-manifestanti. Il bilancio: almeno un morto e decine di feriti. All’inizio la Casa Bianca è rimasta in silenzio, con l’eccezione di un tweet solitario di Melania: «Il nostro Paese incoraggia la libertà di parola, ma comunichiamo senza odio nei nostri cuori».
Un paio d’ore dopo, il presidente Trump da Bedminster in New Jersey, dove si trova in vacanza, ha twittato: «Non c’è posto per questo tipo di violenza in America. Dobbiamo essere uniti!»; in un messaggio successivo si definiva «rattristato». Ma molti critici hanno replicato che in nessuno dei due tweet, Trump – di solito assai rapido a condannare i terroristi islamici – ha additato chiaramente le responsabilità dei suprematisti bianchi e dell’alt-right, ovvero gruppi che lo hanno appoggiato durante la campagna elettorale, anche se dopo la vittoria ne aveva preso le distanze.
Gli appelli al presidente a parlare chiaro erano resi più urgenti dal fatto che David Duke, ex leader del Ku Klux Klan, che ha partecipato alla marcia di ieri in Virginia, ha dichiarato: «Questo momento è una svolta. Siamo determinati a riprenderci il nostro Paese e a realizzare le promesse di Donald Trump. Per questo abbiamo votato per il presidente». Nel pomeriggio, il presidente ha tenuto una conferenza stampa per i veterani, ma in apertura ha espresso la sua «condanna per questa manifestazione di odio, bigotteria e violenza» e attribuendola «a molte parti in causa». Ha aggiunto che le divisioni e l’odio hanno scosso il Paese «a lungo, sotto (la mia amministrazione) e Obama. Ma al di là del colore della pelle e della religione, siamo americani prima di tutto». Ancora una volta, osservavano i commentatori, ha fallito nel condannare esplicitamente il Kkk e i suprematisti bianchi, come quelli che gridavano «sangue e terra» a Charlottesville. La Cnn citava anche le parole di un assistente del presidente: in un’intervista al sito dell’alt-right Breibart, Sebastian Gorka, parlando di terrorismo, ha spiegato che «il problema non sono i bianchi e i suprematisti».