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 2017  agosto 12 Sabato calendario

Roma, scritte omofobe nella scuola di danza dei Vanity Crew. La resa dei ballerini gay diventati star in tv: «Basta insulti, chiudiamo»

«La prima cosa che ho provato? Paura. Una paura tremenda. Mi sembrava incredibile, impossibile, come assistere a un’esplosione di follia che lascia senza neanche la capacità di muoversi. Poi sono scappato». Simone Panella racconta così la scoperta delle scritte offensive e omofobe e dei disegni osceni vergati sulle pareti della scuola di danza Vanity Dance Studio, che si trova nel quartiere popolare di Centocelle, a Roma. E che Simone ha aperto poco meno di un anno fa con il suo compagno Andrea Pacifici, il danzatore arrivato nel 2015 in finale a “Italia’s got talent”, su Sky, con il suo Vanity Crew. Per la felicità dei tantissimi bambini e ragazzi che frequentavano la scuola. «Entro tranquillo – già da qualche giorno avevamo chiuso per l’estate ed ero andato per prendere un ventilatore – poso la borsa sul bancone, mi accendo una sigaretta e poi l’occhio mi cade su una delle scritte: “Froci via di qui”. Mi guardo intorno e mi accorgo che tutte le pareti sono imbrattate. Mi spavento. Riprendo la porta ed esco di corsa, con il cuore in gola». Simone torna a casa, ne parla con Andrea, che si spaventa ancora più di lui, e insieme decidono: non racconteremo niente a nessuno. Come se nulla fosse successo. «Ma poi giovedì scorso invito a cena un amico. E riesco a dirgli tutto» continua Simone. «Lui mi fa: “Devi parlarne. Devi denunciare. Queste cose devono venire fuori”. E così, con il cuore che mi martella in petto, pubblico un post su Facebook. Appena va on-line Andrea mi dice: “Ho un po’ paura”. Ma la mattina dopo, al risveglio, trovo la pagina intasata di commenti di sostegno di persone che neanche abbiamo mai visto». Ma perché quest’aggressione così feroce: entrare nello spazio di un altro e imbrattarlo di insulti omofobi? «Non lo so» dice Andrea con la sua voce profonda. «Non riesco a spiegarmelo. So solo che non riuscirò mai più a mettere piede lì dentro. In questo progetto abbiamo messo tutto: abbiamo ristrutturato gli spazi insieme ai nostri genitori – mio padre, il padre di Simone – pezzo per pezzo, stanza per stanza. Abbiamo steso il parquet, ridipinto le stanze, stuccato le pareti. Ci siamo riempiti di debiti. Con gioia» continua Andrea. «Quella scuola era il nostro sogno, il nostro orgoglio: ci è sempre stato vicino anche il proprietario, solidale, gentile. Ma ora non ci torneremo mai più». Non appena la scuola apre, infatti, iniziano i problemi. «Lancio di uova sulle serrande (la scuola si trova sul piano strada), invio di vigili per controlli continui, chiamate a carabinieri e polizia per schiamazzi, per assembramento, per musica troppo alta, perché qualcuno fumava una sigaretta fuori prima entrare in sala. Inseguimenti per strada. Vicini che ci fermano, urlandoci dietro. Uno stress continuo» ricorda Andrea. Una volta postiamo su Facebook un evento: la lezione di danza di un ballerino. Annullata all’ultimo momento. Nella scuola c’eravamo solo noi e d’un tratto compaiono i carabinieri: chiamati per il rumore troppo forte». Una vera persecuzione, dunque, sfociata in quest’ultimo atto: «E sarà proprio l’ultimo» spiega Simone. «Ce ne andiamo. Abbandoniamo il progetto. Ci sono riusciti. E questo perché nel nostro Paese solo se ti infilano un coltello nella pancia, ti buttano in un tombino o ti spaccano la testa, puoi sperare che ci sia una qualche forma di giustizia. Per il resto non sei tutelato, non c’è una legge per questo genere di reati. Io sono una persona normale, come tutte le altre: mi alzo la mattina, vado a lavorare, pago le tasse, ho tanti sogni. Però nessuno per una cosa del genere mi può difendere. Con una denuncia infatti non succederà niente. Perché?» si domanda Simone. «Però una cosa vorrei dirla: il problema non è Centocelle. Io sono nato e cresciuto qui, io amo questo quartiere e la sua gente. Per questo l’abbiamo scelto. Il problema è la stupidità che si annida nel cuore. E lo divora».