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 2017  agosto 12 Sabato calendario

Dalla falce al Nord, i simboli dei partiti in soffitta

ROMA «La fiamma rappresenta la nostra storia. Ma ci sono momenti in cui la storia deve soccombere al marketing. È la politica, è la vita…», sospira Ignazio La Russa. Abbattuta la quercia post-comunista, appassita la margherita post-democristiana, messo a riposo l’asinello dell’antico prodismo (nel senso di Romano), tramontati i soli che ridevano degli ambientalisti e gli arcobaleni della sinistra, pressoché estinti i gabbiani dell’Italia dei valori – ma la lista sarebbe ancora lunga – adesso scompaiono dall’album della politica anche due degli ultimi superstiti della fine delle ideologie. La parola «Nord» dal simbolo della Lega. E la fiamma tricolore, che alimenta i sospiri estivi di La Russa, dal simbolo di Fratelli d’Italia. 
La lenta marcia d’avvicinamento alle prossime elezioni politiche – con le schede verosimilmente rigonfie dei richiami ai leader, «con Salvini», «Giorgia Meloni», «Berlusconi presidente» – manda in soffitta, e senza neanche bisogno della naftalina, quelli che fino a poco tempo fa erano stati veri e propri trofei di guerra. E sembrano improvvisamente preistoria non solo i tempi i cui i carneadi Pino Pizza e Angelo Sandri litigavano a suon di carte bollate per accaparrarsi la titolarità dell’antico scudo crociato della Democrazia cristiana. Ma anche, e qui siamo a nemmeno cinque anni fa, all’epoca il cui Roberto Maroni, pur di impedire che l’imprenditore Diego Volpe Pasini presentasse una lista civetta battezzata «Prima il nord», proponeva alla di lui moglie Sara Papinutti un posto nelle liste di quella stessa Lega che adesso, alla parola «Nord», rinuncia sua sponte. Un po’ come accade al partito di Meloni e La Russa, che sbianchetta dal simbolo di Fratelli d’Italia quella vecchia fiamma tricolore conquistata un paio d’anni fa durante una dolorosissima assemblea della Fondazione Alleanza nazionale, decisa ai voti dopo una rottura con Alemanno e Fini.
Preistoria, si dirà. Eppure, rispetto agli oggetti di antiquariato e modernariato della nostra Repubblica, c’è chi non abbandona i tesori del passato. Qualche anno fa, quando a Berlusconi venne in mente di trasformare il Pdl nel «Partito repubblicano italiano», l’allora presidente del Pri Francesco Nucara fece sentire la sua voce. «Quel partito c’è già, siamo noi. Berlusconi può comprarci? Non credo, al massimo può iscriversi...». E non sarà un caso se oggi, che di acqua sotto i fiumi n’è passata parecchia, Nucara – che dell’ortodossia repubblicana italiana resta l’ultimo custode, anche se senza cariche – rivela: «Lo sapete che due mesi fa m’ha chiamato Berlusconi per vederci? L’appuntamento è stato rinviato ma secondo me vuole ancora nome e simbolo...». Si vedrà.
Quel che s’è già visto è il film sul destino della falce e martello, oggi appannaggio del redivivo segretario del redivivo Pci, Marco Rizzo. Che la mette così, tutta d’un fiato: «Nel 2008 c’erano due partiti comunisti, Rifondazione e Comunisti italiani, che rinunciarono al simbolo per candidarsi con l’arcobaleno. Poi, nel 2013, finirono con Ingroia. E, nel 2014, con Tsipras. Ora io ho un partito comunista e uso la falce e martello anche se mi dicono che con questo simbolo non supero lo sbarramento. Se ci pensate, però, durante il fascismo i comunisti avevano problemi decisamente più seri dello sbarramento, non trova?». E se il suo Pci finisse davvero per non superare lo sbarramento? E Rizzo: «La prima risposta che mi viene in mente è che non me ne frega un ca..o, la falce e martello rimane». E più non dimandare.
Dev’essere, fatte le debite proporzioni, più o meno la stessa ostinazione che quasi quarant’anni fa spinse fa Marco Pannella a trattare nottetempo con François Mitterrand per acquistare in Italia il simbolo della rosa nel pugno e sottrarla ai competitor del Partito socialista. Leggenda narra che, forse per la fretta di battere la concorrenza di Craxi, i Radicali tralasciarono di chiudere un accordo con l’autore del disegno, l’artista Marc Bonnet. Una cinquantina di milioni di vecchie lire, ricostruisce il blog isimbolidelladiscordia.it, e anche l’ultimo ostacolo venne aggirato. Per la cronaca, oggi non è rimasto nulla. Né la rosa, né il pugno.