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 2017  agosto 11 Venerdì calendario

Un esercito di otto milioni di «schiavi» in Corea del Nord

È un “esercito di popolo” quello della Corea del Nord. Ci sono quasi 6 milioni di paramilitari. L’esercito è formato da più di un milione di uomini, la marina da 60mila, l’aeronautica da110mila. Forze che non tengono conto dei 600mila riservisti: così si arriva a quasi 8 milioni. Tutti sono obbligati alla leva, uomini e donne. La libertà individuale latita. Il servizio militare rivela, in modo emblematico, i meccanismi di un regime semischiavistico.
Le donne – il 22 per cento – restano sotto le armi per 7 anni e, se “vogliono”, possono prolungare. Gli uomini rimangono praticamente per tutta la vita, costretti a un lunghissimo periodo di addestramento. La leva varia dai 5-12 anni nell’esercito, ai 5-10 nella marina, per scendere a 3-4 anni nell’aeronautica. Nell’unità di protezione personale di Kim Jong-un, il servizio dura 13 anni. È un regime durissimo, perché assolto l’obbligo di leva, l’ex recluta viene richiamata per lunghi periodi di perfezionamento almeno fino al compimento dei 40 anni di età. Poi entra a far parte della “guardia rossa dei contadini e dei lavoratori” fino ai 60 anni. Una milizia che conta tre milioni e mezzo di cittadini. Altri, giovanissimi, sono inquadrati nelle “giovani guardie rosse”, corpo dell’esercito sui generis.
Chi ne fa parte si addestra tutti i sabati per 4 ore. Non solo. Frequenta campus formativi in vista del futuro ingresso nel servizio militare vero e proprio. A quel punto la vita si fa dura. Se è vero quanto affermano alcuni transfughi nordcoreani, il nemico numero uno dei coscritti è la fame. Le razioni alimentari sono del tutto insufficienti a coprire il fabbisogno calorico dell’impegno fisico richiesto. Quest’ultimo non riguarda solo l’addestramento puro, bensì include il lavoro supplementare nelle aziende e nelle fattorie. Nella maggior parte delle unità, i soldati sarebbero così malnutriti da esser talvolta rispediti a casa per licenze ricostituenti. Solo i 150mila uomini delle “forze speciali” godrebbero di migliori condizioni. La situazione è talmente complessa che i militari hanno creato una rete clandestina per arrangiarsi. Le unità di polizia di frontiera con la Cina hanno in mano un sistema economico parallelo, di semplice sopravvivenza. Gestiscono flussi di camion e treni carichi di materie prime, medicinali, opere d’arte e altri materiali contrabbandati con la Cina attraverso il punto di frontiera del Tumen. Vogliono viveri in cambio. Attività contrastate da Pechino e dalla stessa Pyongyang, che promette ai “traditori” razioni alimentari più consistenti. Un gioco di specchi che alimenta la corruzione. Il regime ha le mani in parte legate. Dipende per la sopravvivenza dalle Forze armate, ragion d’essere del sistema. I militari sono la “il cuore vitale” della Nord Corea. Il che è tutto dire. Gran parte degli effettivi langue nelle guarnigioni situate in una fascia a un centinaio di chilometri dal 38° parallelo. In attesa del lampo. Non si sa nulla dell’esistenza di una rete articolata di comunicazioni e comando, che dovrebbe permettere alle forze di essere agili sul terreno. Anche se c’è un dato dirompente: predominano le artiglierie semoventi, in contro-tendenza rispetto agli altri Paesi. Se ne deduce una preponderanza dell’offensiva sulla difensiva.
La dottrina prevederebbe attacchi sistematici lungo tutto l’asse di penetrazione scelto, seguito da avanzate progressive. Di salto in salto, sotto il tambureggiamento dei cannoni. La faccenda della mobilità è qui essenziale, visto che meno di 800 chilometri di strade sono asfaltati, e la logistica potrebbe essere l’anello debole del meccanismo. Ma è meglio non illudersi troppo.