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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Come eravamo 13 milioni di anni fa. Trovato in Kenya l’antenato più antico

Tredici milioni di anni fa un vulcano bruciò la foresta e fermò il tempo. L’eruzione sigillò gli alberi in fossili e con essi anche il cranio di un piccolo primate. Tredici milioni di anni dopo, camminando nell’arida distesa di polvere e pietre nell’ovest del Kenya, un cacciatore di fossili ha notato quel teschio, talmente piccolo da stare comodamente in equilibrio sopra la punta delle dita di una mano. Si è rivelato essere il reperto meglio conservato di una specie di scimmie antenate di molte di quelle che ancora popolano il pianeta: scimpanzé, gorilla, gibboni. E anche dell’uomo. La ricerca ha coinvolto diverse università di tutto il mondo e con lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, hanno annunciato la scoperta di una nuova specie: Nyanzapithecus Alesi. È un parente lontanissimo di tutti noi, vissuto nel Miocene quando l’evoluzione non aveva ancora imboccato il bivio del genere homo. Alesi (il suo soprannome che in lingua locale significa “antenato”) era un cucciolo, non è dato sapere se maschio o femmina. Il suo cervello era grosso come un limone. Non aveva ancora i denti da adulto, anche se alcuni stavano per spuntare, mentre quelli “da latte” non si sono conservati. «Alesi è l’unico scheletro di Nyanzapithecus e il cranio fossile più completo mai trovato di una scimmia antropomorfa» spiega a Repubblica Isaiah Nengo, della Stony Brook University di New York, prima firma dello studio. I denti, quelli che non sono mai spuntati, per il team di Nengo sono stati la prova che si trovavano di fronte a una specie non ancora classificata: «Appartiene al genere dei Nyanzapithecus ma i suoi molari erano molto più larghi – scrivono – questo fa supporre che si trattasse di una specie più grande delle altre». E ancora i denti ci hanno rivelato la sua età: aveva un anno e quattro mesi. La conferma viene dalle analisi ai raggi X delle linee di accrescimento dei molari che si sono conservati, come gli anelli degli alberi. Cosa mangiasse invece resta un mistero: «I denti che abbiamo trovato nella mandibola – spiega ancora Nengo – erano lì perché non erano ancora spuntati, quindi non possiamo dire nulla riguardo alla sua dieta». Secondo gli scienziati il suo muso somigliava a quello di un cucciolo di gibbone. Sarebbe comunque rimasto uno “scricciolo”, visto che da adulto sarebbe arrivato a pesare solo11 chili. Il gruppo coordinato da Nengo ha analizzato ogni parte di quel teschio eccezionalmente ben conservato. Fino ad arrivare alla conclusione che, nonostante la parentela con molte scimmie moderne, volteggiare da un ramo all’altro non era il suo sport preferito: «Si muoveva cautamente e lentamente, lo possiamo dire grazie all’analisi dei canali semicircolari dell’orecchio interno» continua Nengo. Non aveva un organo dell’equilibrio fatto apposta per fare l’acrobata dunque, a differenza proprio dei gibboni. E non aveva una coda. Lo stesso vulcano che ce l’ha conservato ci ha anche detto quando Alesi è vissuto ed è morto. Le rocce che contenevano il suo teschio infatti sono databili con buona precisione grazie al metodo del potassio-argon. E chissà, forse è stato proprio quel vulcano a uccidere Alesi e consegnarcelo per poter riempire questa pagina dell’evoluzione, fino a oggi ancora vuota. Mentre abbiamo numerosi reperti e fossili sul periodo successivo, fino a dieci milioni di anni fa la nostra storia è ancora un mosaico con tanti buchi. La testimonianza di Alesi è una tessera che mancava prima che le strade tra uomo e scimmia si dividessero. Ed è stato trovato in Africa, la nostra culla prima che colonizzassimo tutto il mondo. Un aspetto che Nengo tiene a sottolineare: «Nyanzapithecus Alesi faceva parte di un gruppo di primati vissuto in Africa per oltre dieci milioni di anni. La scoperta – conclude lo scienziato – ci mostra che questo gruppo era africano e si colloca vicino all’origine delle scimmie e dell’uomo».