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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

Hamilton, a tutta malinconia. «Quante cose perdo guidando un’auto»

BAKU No che non lascia, però quante cose ha perduto. E che desiderio struggente di riprendersi tutto. Lewis, o della malinconia. L’ex ragazzaccio della Formula 1 tutto collane, tatuaggi e feste, sembra all’improvviso uomo che parla coi fantasmi dentro. Mani bellissime, curate, calme. Mai come adesso e qui, tra il medioevo delle viscere azere e l’avvenire dei grattacieli delle archistar, Hamilton si è trovato a toccare così da vicino il proprio futuro. A 32 anni, dopo che per venti è rimasto saldo in sella alla sua passione, il cavaliere sembra un poco disarcionato da pensieri invisibili. «Cosa farò un giorno? Tutto quello che non ho potuto. Ho perso così tante cose: magari scalerò l’Everest perché non l’ho mai fatto. Ho visto un film, uno dei film di Denzel in cui la sfida era leggere un centinaio di libri, magari lo farò, forse ne dovrò leggere fino alla fine della mia vita. E poi imparare altre lingue, mi piacerebbe, sono cresciuto in Inghilterra dove le scuole non sono il massimo per imparare un’altra lingua, ho sempre voluto farlo ma ci vuole costanza nel prendere lezioni, magari ci provo con il francese. Forse suonare il pianoforte. O cucinare anche se cucinare non mi piace. Le cose cambiano. Sì, vorrei fare parecchie cose diverse».
A Baku Lewis trova la città teatro per rappresentarsi. A 28 metri sotto il livello del mare, il sommerso di Hamilton preme in superficie. È l’unico Gp che il tre volte campione del mondo non ha mai vinto. È solo la seconda edizione d’altra parte, la prima che si fregia orgogliosa di Azerbaijan Gran Prix, togliendo dal titolo l’European dell’esordio l’anno scorso quando vinse il suo compagno e rivale di squadra in Mercedes Nico Rosberg. L’altro fantasma, l’avversario interno sparito da ogni occasione di rivalsa. La vita oltre il Circus se l’è portato via. Tira vento vero e strano su Baku, circuito cittadino, il terzo quest’anno dopo Montecarlo e Montreal, 6003 metri tra cosiddetto lungomare e muri stretti della città vecchia. Il più lungo dopo Spa in Belgio, lo dicono un misto tra Monza e Monaco perché velocissimo eppure a tratti tortuoso. Un rompicapo. Un miscuglio e un contrasto, lo stesso di questa landa di fuoco che tende all’Europa e rimane allacciata al suo ombelico caucasico. Land of Fire, skyline di tre grattacieli alti 190 metri a forma di fiamme, acciaio di giorno e a notte bruciano colorate all’orizzonte sul Mar Caspio, lago denso e scuro e attorno tre milioni di abitanti con petrolio e gas sotto i piedi, la collina che pende sul golfo e per questo gemellata a Napoli oltre che per il traffico e i clacson. Incrocio di antico e utopia urbanistica, le linee curve del Heydar Aliyev Center disegnato da Zaha Hadid tra le solenni rigide architetture sovietiche che immergono la vista in un monotono grigio ocra. Crocevia per Hamilton, nel mondiale e chissà se anche in prospettiva. Il britannico insegue la Rossa di Sebastian Vettel, avanti di 12 punti. «Non ho mai nascosto di essere un grande fan della Ferrari, ma oggi penso a come batterla. Ho un gran rispetto della Rossa per quello che hanno realizzato nella storia del motorsport e per le auto che producono. Se la guiderò un giorno? Non so cosa riserverà il futuro. Per ora mi godo la battaglia che ci diamo, erano anni che non accadeva ed è un bene che due team si scontrino così tra loro, le energie si convogliano diversamente. Ammiro Maranello e credo siano ancora i favoriti: rispetto a noi, hanno dimostrato più consistenza». E in cosa consiste questa sua idea di mollare? «Non so, non mi ricordo di quando ne ho discusso. Comunque non ci sto pensando, non credo di essere in una posizione in cui debba farmi da parte per lasciare spazio a un giovane. Credo che il sogno di molti sportivi sia quello di uscire di scena quando si è al vertice, ma a volte abbiamo visto atleti che si sono fermati prima. Non ho deciso che voglio ritirarmi prima del mio tempo». Lewis cerca ancora quello perduto, sgasando nella malinconia.