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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

Un euro da Intesa Sanpaolo ma i contribuenti rischiano un salasso da 12 miliardi

MILANO Tra i palazzi zitti del potere, politico e finanziario, si lavora a oltranza per chiudere, se possibile nel fine settimana con un decreto che riformuli il Salvabanche natalizio, il dossier di liquidazione ordinata delle due ex popolari Vicenza e Veneto banca.
I contatti con le autorità sovranazionali corrono, così come le riunioni telefoniche tra i protagonisti dell’operazione, inedita e complessa nei meccanismi. L’ad di Vicenza, Fabrizio Viola, che presto potrebbe venire nominato tra i commissari liquidatori, è già in contatto con l’advisor del Tesoro Rothschild per conto dei compratori. Tuttavia l’offerta inoltrata mercoledì da Ca’ de Sass, molto aggressiva e virtualmente l’unica, per comprare a 1 euro le attività migliori delle due venete in crisi, ha spiazzato il loro legittimo proprietario Atlante – vistosi spossessato di 3,5 miliardi di capitale da un comunicato stampa – e un po’ anche il Tesoro: che ha poco tempo per ribaltare l’angolo negoziale, ed evitare che la finalizzazione di due dossier sudatissimi degeneri in un caso politico, con costi per l’erario fino al doppio rispetto ai 5 miliardi circa del piano precedente (basato sulle nozze delle due venete); e strascichi polemici crescenti verso la prossima campagna elettorale. Il problema nasce dalle condizioni poste dal compratore, che oltre all’euro di corrispettivo ha detto ai quattro venti di non voler pagare altro per una mole di crediti scelti attorno ai 20 miliardi, qualche centinaio di agenzie e circa 6mila lavoratori che non diventeranno “esuberi” (anche questi in parte agevolati da uno scivolo statale). Troppa grazia per la maggior banca italiana, anzi “too good to be true”, come dicevano ieri analisti finanziari e investitori a Londra e a New York: continuando a comprare l’azione, chiusa in rialzo dello 0,6% in un settore credito cedente a Piazza Affari. L’affare in vista per Intesa Sanpaolo, tuttavia, potrebbe risolversi nel salasso del governo. La lista delle spesa (pubblica) per far partire una liquidazione imperniata su Ca’ de Sass potrebbe essere più lunga del previsto. Ci sono i 500 milioni per i 3.500 esuberi, circa 1,5 miliardi di crediti fiscali lasciati al compratore, il finanziamento di sofferenze e crediti problematici che l’ad Carlo Messina non intende sobbarcarsi, e che finiranno in una bad bank statale sul modello della Rev, nata dalle ceneri delle quattro banche ponte. Una mole di attivi fino al doppio dei 10 miliardi di sofferenze effettive, e da finanziare con almeno 6 miliardi, secondo qualche addetto ai lavori. In aggiunta, c’è lo “sbilancio” delle attività residue di Vicenza e Montebelluna. Se infatti il compratore – come ha annunciato – rileverà tutti i depositi delle due banche venete ma solo una frazione dei loro crediti, rimarrebbero in capo alla liquidazione degli attivi in eccesso, da colmare con nuovo patrimonio (pubblico) stimato da due fonti vicine al dossier in altri 5-6 miliardi. Così si arriva alla dozzina. Certo, una fetta di questi miliardi rientrerà nel tempo, con le vendite di altri pezzi dei due gruppi, come le controllate Banca Nuova e Apulia, su cui sembra pronta l’offerta di un fondo anglosassone, poi di Bim, Arca Sgr e altro. Proprio ieri Veneto banca ha perfezionato la cessione a Capital Shuttle di tutto il suo 25% in Banca Consulia, prezzo 13,5 milioni. Anche il recupero crediti di Stato, specie se non partirà in folle come fu per Rev, attenuerà negli anni l’esborso: tuttavia gli impatti sul debito pubblico verranno molto prima. Mentre il Tesoro, nel più grande riserbo, cerca di attenuare queste dinamiche, prosegue la corsa per completare nelle prossime ore l’iter che consenta la liquidazione delle due venete. Quanto sia complesso lo spiega Andrea Resti, docente all’università Bocconi e consulente del parlamento europeo per la vigilanza bancaria: «Prima è necessario che la Bce consideri i due istituti in dissesto certo o probabile. A questo punto la palla passerà al Single resolution board, l’autorità delle crisi bancarie cui toccherà decidere se mettere le banche in risoluzione o direttamente in liquidazione». Il Tesoro vuole evitare la “risoluzione”, poiché coinvolgerebbe i bond senior meno rischiosi. Ma per evitarla, continua Resti, «l’Srb deve sostanzialmente dire che l’importanza delle due banche per l’economia nazionale non è tale da avere valenza sistemica che richieda di risolverle per tutelare l’interesse pubblico». Un giudizio non scontato trattandosi di 62 miliardi di euro di attivi: e che di fatto squalificherebbe la direttiva sul bail in Europa al disotto di quella soglia. Ammesso che l’Srb si pronunci per la liquidazione, su richiesta di Bankitalia il Tesoro la disporrebbe per decreto, lasciando a via Nazionale la nomina di uno o più commissari.