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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

La naturalezza (perduta) di un seno messo a nudo

Ogni donna lo sa. La dolcezza nello scoprirsi il seno con il sorriso appropriato, né troppo lascivo né troppo pudico, è per pochi. È un rarefatto gesto d’amore che la pittura del Quattro e Cinquecento custodisce in alcuni ritratti come quelli che si possono vedere nell’esposizione romana: Ritratto di donna che mostra il petto di Domenico Tintoretto o, dello stesso autore, Donna che apre la veste.
Non sono prostitute le signore che qui si svelano: sono donne della buona società la cui nudità è rivestita da un candore spirituale oggi difficile da cogliere, nell’epoca dell’ironia, del paradosso, della polemica. Eppure questo è uno degli aspetti più intriganti che il curatore Enrico Maria Dal Pozzolo ha incardinato nel percorso sull’amore cucito intorno al Doppio ritratto giorgionesco.
La nudità femminile qui rappresenta una rara condizione di purezza che rasenta il concetto più alto, cioè la verità. Non è un caso che Botticelli, nella Calunnia degli Uffizi, rappresenti la Verità come nuda (se n’è occupato di recente anche Mario Andrea Rigoni nel libro Maschere della verità ) e che Pisanello, raffigurando Cecilia Gonzaga nella famosa medaglia di bronzo, le scopra il seno. «Il nudo, nel contesto storico e culturale in cui vive Giorgione – dice Dal Pozzolo – aveva una valenza positiva, ben lontana dalla doppia morale borghese che incontreremo nell’Ottocento». La donna era nuda, sì, ma molti di questi dipinti erano concepiti per la camera da letto («Alcuni coperti da un velo – spiega Dal Pozzolo – per metterli al riparo da occhi troppo indiscreti»): come Tiziano magnificamente coglie nella Venere di Urbino, la rappresentazione della donna nuda doveva essere uno sprone amoroso per una migliore prestazione sessuale da parte del consorte, convinti come si era, all’epoca, che una bella e sensuale immagine influisse sulla qualità e sulla fecondità del seme nel grembo femminile. Basta cercare su Google le parole «Marcantonio Raimondi» con «Stoccolma» per trovare una incisione (custodita nella capitale svedese) che oggi potrebbe sorprenderci, ma all’epoca era naturale: una donna in piedi che usa un dildo, eccitandosi al fine di togliere le ultime inibizioni all’amato.
«Lo stesso Giorgione, nella Giuditta conservata nell’Ermitage – continua il curatore – calpesta la testa di Oloferne con una gamba nuda fin quasi all’altezza dell’inguine: quella nudità si lega al gesto eroico e positivo della donna». E la coscia lunga della Giuditta fa il paio con la bellissima Venere di Dresda, uno dei pochi dipinti attribuiti con certezza al maestro di Castelfranco: la mano della Venere sfiora l’inguine, in una dolce ambiguità. Molto probabilmente nasce da questo humus un dipinto di Courbet, meno conosciuto de L’origine du monde ma altrettanto dirompente, che si intitola Il sonno (1866): due ragazze avvinte in un sopore che potrebbe essere, sì, un sonno profondo a due, ma che – a ben vedere – ricorda tutt’altro.
Ma come si venne a creare questo clima, liberale più che libertino, colto più che trasgressivo, nel quale crebbe la poetica degli affetti propria anche di Giorgione? Da Petrarca e dal petrarchismo, dice lo storico dell’arte: «Se a noi oggi sembra di parlare tanto d’amore, non conosciamo quell’epoca: tutti sapevano a memoria l’opera del Petrarca, si andava in giro con i petrarchini, manualetti tascabili e il discorso amoroso era quotidiano». Con la sconfitta di Agnadello del 1509 (quando la Repubblica di Venezia venne battuta dalla Lega di Cambrai) le cose cominciarono a cambiare e si fecero più dure. Ma questa felicità del corpo nudo femminile resisterà e la ritroveremo nel Settecento, con un libertinismo trasversale, proprio di diverse classi sociali e anche nell’Ottocento, con i ritratti di signore bene dalle ampie e audaci scollature.
Curioso a pensarsi ma il corto circuito si crea con La colazione sull’erba di Manet (1863) quando il nudo perde l’innocenza e si incarna nelle fattezze reali di una donna disinibita. E a chi si era ispirato il francese per questo soggetto? Al Concerto campestre che, secondo molti, non è di Tiziano ma di Giorgione. Tutto si tiene, almeno in amore.